Anno: XXVI - Numero 75    
Mercoledì 16 Aprile 2025 ore 14:30
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Meloni declassa il vertice con Trump a bilaterale

Non sarà più la missione della “pontiera” tra due mondi. È l’esito quasi obbligato, dopo il fallimento della trattativa tra il commissario al commercio Maros Sefkovic e l’amministrazione americana.

Meloni declassa il vertice con Trump a bilaterale

Bruciata in partenza la carta dello “zero a zero”, Giorgia Meloni rivede le aspettative sul viaggio a Washington. Non sarà più la missione della “pontiera” tra due mondi, ma un bilaterale tra Stati Uniti e Italia, dove la premier cercherà di portare a casa il più possibile per l’Italia e si spenderà per un incontro tra Ursula von der Leyen e Donald Trump. Ma non potrà usare quella che considerava finora la principale carta da giocare.

È l’esito quasi obbligato, dopo il fallimento della trattativa tra il commissario al commercio Maros Sefkovic e l’amministrazione americana. Giorgia Meloni aggiorna il dossier in una riunione serale a Palazzo Chigi coi vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani, ma anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e quello della Difesa Guido Crosetto. C’è anche il titolare degli affari europei Tommaso Foti. Il formato è indicativo: oltre che di dazi, si parla di spese in armamenti, perché è quella la principale richiesta su cui Trump attende una risposta. Ed è il nodo che ancora divide i partner di governo.

Crosetto nei giorni scorsi aveva indicato la necessità di andare oltre il 2 per cento, ma aveva chiesto che la spesa in armamenti fosse effettiva. Per la Lega, invece, degli 8 miliardi che mancano all’attuale 1,57 per cento per raggiungere il 2, almeno 5 possono essere coperti scomputando spese per altri capitoli: dai Carabinieri alla Finanza, fino alle capitanerie di porto. Così, il 2% disterebbe non 8, ma circa 3-4 miliardi.

Il tema resterebbe una bega interna all’esecutivo, se non fosse prevedibile che Trump, alla Casa Bianca, chiederà a Meloni di comprare armi americane. E se l’obiettivo vagheggiato da Trump – il 5 per cento del Pil, 70 miliardi – non è raggiungibile nel breve periodo, che almeno lo sia e pienamente quello limitato del 2 per cento. Che otto miliardi siano otto miliardi. Meloni sa che l’accoglienza che riceverà allo studio Ovale, dipenderà in buona parte dal bilaterale, quando le sarà chiesto di saldare gli impegni presi.

Consapevole del rischio, con atteggiamento prudenziale Meloni invita i suoi a fare opera di ridimensionamento delle aspettative pubbliche sul viaggio in America. Un atteggiamento riconducibile anche alle notizie che arrivano da Oltreoceano. Secondo quanto riportato da Bloomberg, l’amministrazione americana avrebbe finora respinto la proposta dell’Ue sulla rimozione di tutte le tariffe sui beni industriali, auto incluse. I pochi progressi spingono al ribasso i toni trionfalistici letti in questi giorni.

Lo “zero per zero” era anche la strategia di Meloni, che vorrebbe tornare dalla Casa Bianca con un pareggio. Ecco che allora, come termometro delle ultime evoluzioni che precedono la trasferta, interviene Giovanbattista Fazzolari. Il sottosegretario a Palazzo Chigi, ospite dell’evento di presentazione del nuovo libro di Alessandro Sallusti, comunica raramente le sue aspettative. Davanti al direttore del Giornale, però, si sbottona: il viaggio della premier diventa così “non facile e sicuramente ricco di insidie”.

La prudenza di Fazzolari è sintomatica. Un’anticipazione di quello che non sarà: non un incontro storico, ma che “va ricondotto a un incontro bilaterale Italia-Stati Uniti”. Un viaggio “giusto e doveroso”, ma nulla di più. “Gli Usa – continua il fedelissimo della premier – sono il principale partner militare per l’Italia e uno dei principali partner economici: è chiaro che con un nuovo presidente va fatto un incontro bilaterale”. Poi, ricorda che “Meloni e Trump si sono già incontrati”, ma questa volta la veste è istituzionale. Sul tavolo, ammette, i dossier abbondano: “gli investimenti reciproci, di cui già molti in essere, e ovviamente la grande partita dei dazi che per l’Italia è qualcosa di fondamentale”.

Le grosse preoccupazioni di Palazzo Chigi sono tutte qui: tornare a Roma non solo senza il risultato immaginato, ma anche con una lavata di capo made by Donald. Per questo Fazzolari ricorda che Meloni “non ha il mandato della Commissione europea” e che “le dichiarazioni americane fanno pensare alla volontà di una politica fortemente protezionistica (da parte degli Usa, ndr), cosa che danneggerebbe fortemente l’Italia”. Un discorso che non riguarda il gas liquido, che gli americani vorrebbero vendere in maggiore misura anche a noi: “L’Italia non ha problemi di fonti di approvvigionamento”. “Possiamo incrementarlo – aggiunge – ma non è vitale”.

Tenuto a mente tutto questo, i rapporti tra il presidente americano e Meloni sono ancora buoni. Sobbarcarsi il fardello europeo sarebbe controproducente, vista la ristettezza degli spazi di trattativa. Così, Fazzolari, pur ricordando che la premier “può avere maggiore facilità rispetto ad altri a parlare in modo chiaro e sincero con il presidente Trump per trovare un accordo che sia conveniente per entrambi”, racconta un governo con le carte in ordine. Almeno sulla difesa, dove in questi giorni è emerso un gran dibattito sulla soglia da raggiungere per le spese in rapporto con il Pil: “L’Italia, come è scritto nel programma del centrodestra e quindi firmato dagli alleati, vuole rispettare gli impegni internazionali”.

Una promessa, quindi: “L’Italia arriverà al 2% in tempi brevissimi, magari già nell’arco del 2025”. Altrimenti il vicepresidente americano JD Vance potrebbe ricordare che l’Italia e l’Europa sono “il vassallo permanente degli Stati Uniti in termini di sicurezza”. Prima Trump e poi Vance sono pronti ad incassare. Con buona pace della Lega.

 

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