Meloni, Schlein e la comodità dell’equilibrio di potere
Questo ring metaforico, ma continuo, tra le due leader assume un significato furbescamente machiavellico per polarizzare i reciproci elettorati delle Europee.
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Il concetto di equilibrio di potere ha rivestito grande fascino nel realismo politico: il politologo di Harvard Kenneth Waltz lo riassume descrivendo l’aggregazione di potere lungo due poli di attrazione, che finiscono per attrarre poli più piccoli come due magneti. Per lo stesso Henry Kissinger, la formulazione che Waltz aveva fornito di equilibrio di potere era risultata valida durante la Guerra Fredda, e molto comoda per strutturare le potenze internazionali nel dopoguerra. Ma il concetto non perde la sua efficacia neppure sul foro interno, specialmente nei periodi della storia politica (italiana, ma non solo), in cui s’assista al bipolarismo: tra Whig e Tories, e poi tra laburisti e conservatori in Gran Bretagna, tra repubblicani e democratici negli USA, tra Destra e Sinistra Storica nell’Italia monarchica, tra Forza Italia e l’Ulivo in tempi più recenti.
Ecco che, se fa specie agli occhi dell’osservatore notare la non esclusione di colpi fra le due leader dei maggiori schieramenti, quasi alla stregua di una lotta politica fra donne, a cui non eravamo abituati, nondimeno questo ring metaforico ma continuo, a cui abbiamo assistito con particolare crescendo lo scorso weekend assume, per le due contendenti, un significato furbescamente machiavellico per polarizzare i reciproci elettorati delle Europee.
La contesa democratica si gioca su due piani che avevano affascinato già Mortati fra i maggiori costituzionalisti italiani, nella sua proposta di diversità fra Costituzione materiale e formale, ma si tratta di due piani che forse ha rappresentato con maggiore semplicità, nel suo libro La democrazia (1998), il politologo di Yale Robert Dahl: democrazia sostanziale da un lato e procedurale dall’altro.
Sul piano delle procedure si pone l’attenzione di Meloni quando chiede all’avversaria che cosa ne pensi della sua etichettatura come leader poco democratica da parte del candidato leader del PSE Nicholas Schmit. La risposta di Schlein si sposta però di piano, mettendo invece in evidenza la scollatura percepita di Meloni rispetto al Paese reale, specie dal lato dei salari e del sostegno ai meno abbienti: ecco l’altro piano della democrazia sostanziale a cui viene costantemente richiamato chi governa. Uno scenario che in realtà cozza un po’ con l’immagine di una Meloni capace di ridare un certo slancio alla stagnante situazione di Caivano, senza che sia stata tutelata dalla solidarietà fra donne nel momento degli attacchi da parte di De Luca.
Subito dopo, il ritorno da parte di Schlein al linguaggio della democrazia formale, con l’invito alla Meloni a richiamare con urgenza Salvini rispetto alle sue parole sul Quirinale, come se spettasse al presidente del Consiglio, che nella Costituzione italiana altro non è che un primus inter pares a collante di coalizioni di governo, richiamare gli esponenti di partiti alleati a ogni scricchiolamento.
Non sarà che siamo già entrati in una concezione di premierato, ancora prima del suo varo parlamentare? La sorpresa più grande è che sia proprio il Pd, a parole contrario, a mostrare una concezione premierale nell’attuale politica italiana.
Di Mattia Baglieri per Huffpost
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