Anno: XXVI - Numero 75    
Mercoledì 16 Aprile 2025 ore 14:30
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Meloni sposa il trumpismo, Trump conquista Roma

Sui dazi il presidente è fiducioso, ma non fa aperture: accetta l'invito a Roma forse anche per trattare con l'Ue.

Meloni sposa il trumpismo, Trump conquista Roma

La premier rilancia la civiltà occidentale con lo slogan “make west great again”, si mette in prima linea nella battaglia contro i migranti e il woke. Promette 10 miliardi di investimenti, più spese militari e più gas dagli Usa. Trump la omaggia: “È speciale, l’Italia è il miglior alleato se Meloni resta premier”

“Mi definiscono nazionalista occidentale, non so. Io so che parlo di Occidente non dal punto di vista geografico ma della civiltà. Insieme dobbiamo rendere l’occidente di nuovo grande”, dice Giorgia Meloni di fianco a Donald Trump nello Studio Ovale. Nel mezzo delle tensioni tra le due sponde dell’Atlantico sui dazi, tra Washington e l’Europa orientale sull’Ucraina, tra l’amministrazione Trump e gran parte delle cancellerie europee, la premier italiana scandisce un Make the West Great Again per sposare in tutto e per tutto la linea del tycoon. Dopo l’atteso bilaterale di oggi a Washington, Trump conquista (o riconquista) Roma, piantando solidi paletti in Italia – “Il migliore alleato al mondo fino a quando Meloni è premier”, dice il presidente Usa – in vista della battaglia appena iniziata con tutta l’Ue, soprattutto con quel pezzo di Ue che si sta riavvicinando alla Cina.

“No, i dazi ci stanno arricchendo, stavamo perdendo tanti soldi con Biden, miliardi di dollari sul commercio, adesso la marea è cambiata”, risponde Trump a chi gli chiede se Meloni gli abbia fatto cambiare idea sui dazi. E in caso non fosse chiaro, proprio lì davanti alla premier italiana e i giornalisti, il presidente si lancia in una difesa a spada tratta della sua guerra commerciale e torna a ribadire il giudizio sprezzante nei confronti del presidente della Federal Reserve Jerome Powell, contrario ad abbassare i tassi di interesse: “Se glielo chiedo, se ne va, sparisce. Non sono contento di lui e gliel’ho detto: gioca a fare il politico. I tassi di interesse dovrebbero essere ridotti. Non sono molto intelligenti alla Fed”.

Sui dazi Meloni dice che si troverà un accordo “a metà strada per renderci entrambi più forti sulle due sponde dell’Altantico”, tenta di incardinare la sua missione a Washington su termini europei e non solo italiani, come ha promesso a Ursula von der Leyen prima di partire. Ma il tentativo sembra debole e comunque riesce solo a ottenere che Trump accetti l’invito a venire in Italia e a “considerare in quella occasione un incontro con l’Unione Europea”. Tradotto: Trump non dà alcuna certezza sull’eventualità di incontrare la presidente della Commissione europea, qualcosa che è ormai più di un semplice diniego. È l’elemento di un’intera strategia: quella di non riconoscere l’Unione Europea come interlocutore, anche se è proprio la Commissione europea che ha la competenza esclusiva in fatto di politica commerciale. 

Ma se il negoziato sui dazi non era precisamente nel mandato della trasferta di Meloni a Washington, di certo a Bruxelles c’era la speranza di riconnettere l’Unione Europea al vecchio alleato atlantico, di ricavare un atteggiamento più disponibile del tycoon alla trattativa con il commissario al commercio Maros Sefcovic. E invece nello scambio alla Casa Bianca brilla solo l’Italia e l’alleanza Italia-Usa. Meloni si presta, facendo sponda al presidente quando parla dei migranti “criminali” da espellere: “In Europa lo stiamo cominciando a fare grazie all’Italia. Prima si parlava di migranti, ora di come fermare l’immigrazione illegale”. O quando si parla di lotta all’importazione del fentanyl, fronte della nuova guerra americana alla Cina. Ma non solo. La premier promette “10 miliardi di investimenti negli Usa”, promette di aumentare le importazioni di gas naturale liquido americano, oltre che di arrivare al 2 per cento del Pil sulla difesa per giugno, in occasione del summit Nato all’Aja dove questa soglia verrà ulteriormente programmata in aumento, presumibilmente al 3,5 per cento.

“L’Italia raggiungerà il 2 per cento, ma non abbiamo parlato di altre percentuali”, dice Meloni rispondendo ad una domanda in italiano sugli investimenti militari del governo di Roma ma anche sull’Ucraina. “Trump incolpa Zelensky per la guerra”, era la domanda in italiano. La premier risponde: “L’ho sempre detto, l’invasore è Putin”, ma quando Trump, con atteggiamento inquisitorio, chiede di tradurre perché vuole assolutamente sapere prima di proseguire, né l’interprete, né la stessa premier traducono quella frase (“Putin è l’invasore”). E il tutto diventa un coro: “Insieme lavoreremo per una pace giusta e duratura”. Trump annuncia “la firma dell’accordo sui minerali con Kiev giovedì prossimo”.    

Reticenze e promesse per saldare un legame bilaterale tra Roma e Washington che lascia l’Unione ai margini e pone le basi per future divisioni tra i 27 Stati nei rapporti con l’alleato atlantico, da un lato, e con la Cina, dall’altro. Meloni stringe una collaborazione con gli Usa “sullo spazio e su Marte”, riesce a mettere da parte il contestato progetto Starlink: “Non ne abbiamo parlato”, dice. Elon Musk, in questo momento stella cadente dell’amministrazione Trump, è il grande assente dell’incontro alla Casa Bianca. Nessuna crepa, nemmeno una levata di sopracciglio, figurarsi di scudi. Meloni sposa il trumpismo che sta mandando in tilt mezza Europa, in nome della comune cultura anti-woke, anti-immigrati, anti-sinistra. Un tempo per la premier c’era anche l’anti-europeismo, vecchio amore che Trump è deciso a sfruttare per indebolire l’Unione.

di  Angela Mauro su HuffPost

 

 

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