Anno: XXV - Numero 167    
Martedì 17 Settembre 2024 ore 13:00
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Quel pasticciaccio brutto del decreto Sangiuliano.

Prima Nanni Moretti, poi Gabriele Muccino e infine tanti produttori. Associazioni di categoria e sigle sindacali bocciano il provvedimento dell'ex ministro che rivede i criteri di accesso al tax credit.

Quel pasticciaccio brutto del decreto Sangiuliano.

Molte produzioni indipendenti rischiano di sparire, con tanti saluti al pluralismo e all’occupazione

L’urlo di dolore di Moretti, come lo chiama il presidente dell’Unione produttori di Anica, Benedetto Habib, in un in’intervista a Repubblica, ha scoperchiato il vaso di Pandora sulla riforma, voluta dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, dei finanziamenti pubblici al cinema italiano, che scontenta tutti. Innanzitutto, per il ritardo con cui è stata formulata, creando una vera e propria paralisi del settore che dura da più di un anno, durante il quale c’è stata una perdita in termini di occupazione e erariale non indifferente, come lamentano le associazioni di categoria. Ma anche relativamente ai termini in cui è stata pensata.

Quel pasticciaccio brutto del decreto Sangiuliano. Perché il mondo del cinema (soprattutto quello indipendente) è in rivolta

Prima Nanni Moretti, poi Gabriele Muccino e infine tanti produttori. Associazioni di categoria e sigle sindacali bocciano il provvedimento dell’ex ministro che rivede i criteri di accesso al tax credit. Molte produzioni indipendenti rischiano di sparire, con tanti saluti al pluralismo e all’occupazione

L’urlo di dolore di Moretti, come lo chiama il presidente dell’Unione produttori di Anica, Benedetto Habib, in un in’intervista a Repubblica, ha scoperchiato il vaso di Pandora sulla riforma, voluta dall’ex ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano, dei finanziamenti pubblici al cinema italiano, che scontenta tutti. Innanzitutto per il ritardo con cui è stata formulata, creando una vera e propria paralisi del settore che dura da più di un anno, durante il quale c’è stata una perdita in termini di occupazione e erariale non indifferente, come lamentano le associazioni di categoria. Ma anche relativamente ai termini in cui è stata pensata.

Gabriele Muccino in un’intervista alla Stampa non ha usato giri di parole: “Sangiuliano ha messo in ginocchio il cinema italiano”, presentando una legge “pretestuosa, confusa, incompleta e cavillosa”. Parere assolutamente condiviso da tutti gli addetti ai lavori che vedono minacciati posti di lavoro. Le organizzazioni di settore di Cgil, Cisl e Uil hanno intenzione di inviare al neoministro della Cultura, Alessandro Giuli, una richiesta di incontro urgente per affrontare il problema del calo occupazionale nel settore della produzione cine audiovisiva che segnala una contrazione del 40% di occupati rispetto ad una crescita che era stata del 50% nel periodo 2019-2023. Una decrescita dovuta proprio a questo stop prolungato ai finanziamenti statali, in attesa della riforma, che ha portato molte produzioni a fermarsi o a girare all’estero. “Questa significativa contrazione necessita un urgente aggiustamento degli strumenti di welfare” per il settore, ha detto la segretaria nazionale della Cgil, responsabile dell’area produzione dei contenuti culturali Sabina Di Marco che ha aggiunto: “Chiederemo di migliorare lo strumento del tax credit che mette in difficoltà le piccole produzioni”.

Perché il nodo cruciale del decreto elaborato dalla squadra di Sangiuliano è proprio relativo alle difficoltà per i film più piccoli, per le produzioni indipendenti, di accedere al tax credit che, va ricordato, è uno strumento fiscale adottato dal governo italiano per incentivare gli investimenti nel settore dell’audiovisivo, comprendendo produzioni cinematografiche, televisive e web. Questo meccanismo serve, all’origine, ad agevolare i produttori di opere audiovisive, sia italiani che internazionali, fornendo loro un rimborso parziale dei costi sostenuti durante la produzione in Italia. Fino ad oggi ai produttori spettava un credito pari al 40% del costo eleggibile di produzione di film (per quelli non indipendenti 25%) e del 34% per le serie tv. Aiuti di Stato che andavano a finanziare, a volte, anche produzioni e film fuori del mercato, cioè fatti e non visti da nessuno. Per questo da tempo il Governo (ma anche gli addetti ai lavori e le associazioni di settore avevano chiesto una “rimodulazione” delle regole del credito di imposta) pensava a un cambiamento, all’inserimento di qualche paletto che prevedesse ad esempio la garanzia che ci fosse da subito un distributore, una televisione, un broadcaster o una piattaforma pronta ad accogliere il film. Perciò nessuna polemica sull’esigenza di un qualche tipo di regola di accesso al tax credit, ma, ed è questo il punto, quelli messi dal decreto di riforma sono troppi e rischiano di bloccare moltissime produzioni, soprattutto quelle minori, spiegano produttori e distributori.

Come funziona tecnicamente? Le linee di intervento dello Stato sono sostanzialmente di due tipi: una automatica (il Tax credit, appunto) e una selettiva. Il Tax Credit si basa sulla spesa, come abbiamo visto. Quella selettiva si basa sulla decisione di una commissione e si tratta di aiuti che vengono dati ai film considerati meno commerciali, più difficili. Riguardo alla Tax Credit, sulla base delle regole introdotte dal decreto, accedervi sarà sempre più difficile, addirittura impossibile per le produzioni minori. Fra i vari requisiti d’accesso, infatti, c’è ad esempio che il produttore indipendente originario deve poter coprire almeno il 40% del costo di produzione dell’opera, anche attraverso altri fondi pubblici nazionali e regionali. E deve esserci a monte un accordo vincolante con una delle prime 20 società di distribuzione cinematografica che preveda dei requisiti minimi di investimento e circuitazione. Vincoli che rendono impossibile per certi film, soprattutto per il cinema indipendente, non commerciale, essere realizzati: difficilmente film minori hanno budget di produzione così alti o sistemi di distribuzione in grado di supportarli fin dal principio e “al buio”, se così si può dire.

A questo si aggiunge, ed è il secondo corno della questione, che sono stati spostati molti soldi dai fondi automatici a quelli selettivi (si passa da 304 milioni del 2023, a 181 del 2024 per gli automatici e da 96 del 2023 a 137 del 2024 per i selettivi. Inoltre, si aggiunge la voce relativa ad opere avvenimenti e personaggi dell’identità culturale italiana a cui sono destinati quasi 52 milioni, ndr) dando di fatto più potere alle Commissioni che valutano i film, di decidere quali siano quelli meritevoli di ricevere i finanziamenti. Se i film passano il criterio selettivo, inoltre, non hanno bisogno di rispondere ai requisiti richiesti per avere accesso al Tax Credit. Se non lo passano e magari sono piccole produzioni che non arrivano alle coperture richieste dalla riforma, restano di fatto esclusi dalla possibilità di ricevere finanziamenti pubblici. E perciò semplicemente non vengono girati.

Questo naturalmente rende, inoltre, cruciale la battaglia che le sigle delle associazioni di categoria stanno facendo anche sulle nomine dei membri delle Commissioni, dal momento che alle loro decisioni sono appese le sorti di moltissime produzioni indipendenti, meno commerciali. L’aiuto pubblico dei selettivi serve per far emergere nuovi talenti, opere prime e seconde, oppure quel cinema più difficile che vale la pena di fare perché rappresenta il Paese, l’identità, la narrazione italiana ma che normalmente, commercialmente, non ce la fa. E che rischia, lamentano le sigle sindacali di categoria, di sparire per sempre mettendo in pericolo libertà e pluralismo culturale. A che punto siamo? La riforma è pronta, mancano i decreti direttoriali, gli unici in grado di rimodellare, sperano le associazioni di categoria, “quel pasticciaccio brutto” che il Ministero della Cultura targato Sangiuliano ha fatto sulla riforma dei finanziamenti pubblici al cinema italiano.

 

 

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