Salis è diventata un bel regalo alla destra
Se oggi è libera dai ceppi ungheresi, lo si deve a una battaglia in punta di diritto che lei non applica ai tumulti di Corvetto.
.I suoi ideologismi e facili sociologismi sono perfetti per le identità di cartapesta, in cui il generale è campione
Non sono membri dello Stato e dunque non sono cittadini: il domestico, il garzone di bottega, il lavoratore a ore, il parrucchiere, il bracciante agricolo, il lavoratore ambulante. Che ve ne pare di questo elenco di persone “senza proprietà”? Mi è tornato in mente a margine di un convegno – a Orvieto, dove per i trecento anni dalla nascita di Kant si è tenuta, e quest’anno si è conclusa, una Decade di studi kantiani, dieci anni a discutere, riflettere e ragionare sull’eredità di Kant – e sì, l’elenco appartiene a Kant, alla sua dottrina pura del diritto, e a un saggio scritto dal filosofo di Königsberg nel lontano 1793.
Ma il tempo non è passato (del tutto) invano, e garzoni e barbieri, straccivendoli tuttofare e servitori possiedono oggi una personalità civile che Kant ancora negava loro. Abbiamo tuttora problemi con la cittadinanza – anzi: abbiamo problemi nuovi, perché non abbiamo capito ancora come regolare il fenomeno migratorio – ma abbiamo coltivato qualche idea, in termini di diritti umani fondamentali, che in più di una circostanza interviene a darci una mano. Di più: abbiamo costituzionalizzato un bel numero di questi diritti, offrendo una imbracatura bella robusta alle istituzioni democratiche, e con questa roba – con i giudici e i tribunali, coi Parlamenti e la separazione dei poteri, con le corti e le autorità indipendenti, con l’opinione pubblica e i poteri formali e informali di controllo – abbiamo messo su una cosa che chiamiamo Stato costituzionale di diritto, e in questo Stato viviamo decentemente, meglio – credo – di come si vive sotto altri regimi, ad altre latitudini e longitudini. Niente che ci debba fare gridare al miracolo – o forse sì, visto che non sono molti i secoli della storia umana in cui si sia vissuti in uno Stato democratico di tal fatta e, anzi, è qualche anno che il corso della storia sembra aver ingranato la marcia indietro, e nel mondo diminuiscono, invece di aumentare, i regimi pienamente democratici – niente, aggiungo, che non si meriti critiche anche feroci, niente che non sia migliorabile, niente che si possa dire stabilito aere perennius: niente di tutto ciò. Ma pur sempre qualcosa, e forse Kant – uno che dopo tutto si è entusiasmato alle notizie che da Parigi gli riportavano il successo della Rivoluzione francese, e che aveva comunque del diritto l’idea che fosse quell’indispensabile congegno capace di mettere d’accordo almeno formalmente la libertà e l’uguaglianza di tutti i cittadini – forse Kant avrebbe apprezzato come le cose si sono messe, in questa parte di mondo. In ogni caso, non avrei dedicato metà dell’articolo a Stato di diritto e dintorni, non avrei cercato di richiamare (alla leggera, per carità) l’illuminismo giuridico nella cui eredità si situano (tutto sommato) i nostri ordinamenti giuridici, non avrei neppure speso il nome di Kant, se non avessi dovuto commentare le ultime dichiarazioni di Ilaria Salis, che dunque ringrazio.
Ilaria Salis è l’esempio vivente dell’importanza del dispositivo che ho prima sommariamente descritto, perché senza la lotta per il diritto, senza l’indignazione per i ceppi alle caviglie, senza la mobilitazione a difesa delle garanzie di un imputato a processo, non sarebbe dov’è ora: a Bruxelles, al Parlamento europeo. A proposito: lotta per il diritto è una bella e famosa espressione di un grande giurista tedesco, Rudolf von Jhering, che sapeva bene come i popoli europei abbiano dovuto lottare, e sollevarsi, e fare persino rivoluzioni (e entusiasmare vecchi filosofi prussiani come Kant) per affermare i propri diritti. Ma sapeva anche che, se è un individuo a lottare per il riconoscimento dei propri diritti, e se esistono e sono costituzionalizzate le forme debite che regolano le azioni in giudizio, allora è quella la strada da seguire. Quella strada può essere percorsa, oggi, da tutti: domestici e no, proletari e no, immigrati e no. Se quella strada non ci fosse, la lotta dovrebbe prendere altre vie. Ma quella strada c’è: i vandalismi non sono giustificabili. Non sono nemmeno scusabili. Lo sa bene il padre di Ramy Elgalm, il diciannovenne morto al Corvetto, a Milano, in circostanze che andranno chiarite (e verranno chiarite), il quale ha preso le distanze dai disordini delle scorse notti: “Io non c’entro niente e non voglio che quello che è successo l’altra notte in strada venga accostato a noi. Noi con la violenza non c’entriamo”. I familiari di Ramy hanno preso le distanze, dunque; Ilaria Salis no. Lei ha espresso comprensione. Se però c’è qualcosa da comprendere, è innanzitutto questo, che in uno Stato democratico civile i modi per lottare per i propri diritti ci sono: sono stati, fra l’altro, quelli che si sono impiegati nel suo stesso caso.
Grazie a quei modi, a quella civiltà giuridica e a quella sensibilità per le regole di diritto, oggi Ilaria Salis prende la parola, ed è una cosa di cui si può persino andare fieri. Una battaglia per il diritto, nel suo caso, è stata vinta. Se ritiene, per Ramy lei potrà a sua volta fare una battaglia in punta di diritto, che è però tutt’altra cosa dall’usare violenza o dal giustificare la violenza. Se avrà una buona volta questa accortezza, farà bene anche alla sua parte politica, credo. Mi sbaglierò: a margine di un convegno kantiano non è facile procurarsi la rassegna stampa completa, ma ho l’impressione che le parole di Salis abbiano trovato un’eco potente a destra, molto più che a sinistra. E si capisce perché: fare della Salis, delle sue disinvolte solidarietà e delle sue simpatie, dei suoi facili sociologismi e dei suoi ideologismi, una divisa della sinistra politica è un bel regalo alla destra. Uno potrebbe dire: anche la destra, grazie all’impagabile generale Vannacci, regala alla sinistra una bella testa di turco, da attaccare con dichiarazioni quotidiane tanto chiassose quanto inutili, per farci costruzioni identitarie di cartapesta lontane dai temi reali del Paese. In effetti è proprio così, ed è una bella gara, tra i furori antagonisti della quasi giovane pasionaria rossa e l’ottuso buon senso del generale tutto d’un pezzo.
Ma le bandiere che la sinistra deve alzare sono altre e non richiedono strappi della legalità democratica. Salis potrebbe forse ancora lamentare, in un convegno come quello che sto seguendo, il carattere di classe dello Stato di diritto kantiano, che rilasciava patenti di cittadino solo ai proprietari, ma, dopo due secoli e passa, lo Stato di diritto ha un altro volto, un’altra legittimità e un’altra universalità. E forse, a pensarci, non solo le bandiere da alzare sono altre, ma non è davvero il caso che ad alzarle sia l’onorevole Salis.
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