Serve migliorare il Jobs Act, non eliminarlo
Il leader della Cisl Luigi Sbarra contro le ricette "ideologiche" di Cgil e sinistra “salario minimo e stop Jobs Act non migliora nulla”.
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Non da oggi la “triplice” dei sindacati in Italia vede la Cisl di Luigi Sbarra un filo distaccata dalle battaglie e dalle invettive antigovernative di Cgil e Uil: in una lunga intervista a “La Verità”, il segretario generale del sindacato “bianco” fa il punto dei dossier sul lavoro dopo i recenti dati sull’occupazione e dopo le intemerate di Landini e Bombardieri contro il Governo Meloni, in aperta unità di intenti con le opposizioni di sinistra.
Davanti al raccolta firme lanciata dalla Cgil per un referendum contro il Jobs Act e la reintroduzione dell’Articolo 18 dei lavoratori, il segretario della Cisl conferma la piena distanza da tale battaglia: «ci sembra un modo per parlare d’altro, per evitare l’attenzione dai problemi veri del Paese». L’attacco contro la “rinsaldatura” fra sinistra e sindacati per Sbarra è teso a difendere la riforma prodotta dall’allora Governo Renzi e non messa in discussione dall’attuale esecutivo Meloni: «piuttosto che demolire il Jobs Act occorre pensare a migliorare le tante cose buone di quella riforma», correggendo magari le carenze «con altri provvedimenti, innovando i centri per l’impiego». Ripristinare l’Articolo 18, così come insistere come fa il M5s di Conte e il Pd di Schlein sul salario minimo, «non serve a nulla per migliorare il lavoro». Addirittura nel fissare una paga minima come soluzione alla crisi dei lavoratori in Italia, il leader della Cisl vi vede un rischio forte di «schiacciamento in basso delle retribuzioni, con molte aziende che preferirebbero uscire dal perimetro dei contratti per attestarsi sulla cifra minima fissata dalla legge».
Sbarra e con lui l’intero sindacato Cisl vuole del tutto allontanare tale potenziale beffa in quanto rischio di danno per i lavoratori: il salario minimo, spiega ancora nell’intervista a “La Verità”, serve solo se si estendono i contratti confederali a quella parte (minima in Italia) di lavoratori ancora non coperti da un contratto nazionale (CCNL) o peggio vittime di contrattazioni pirata. Con il salario minimo fissato per legge in Italia si rischierebbe invece la decrescita degli stipendi, l’esatto opposto di quanto si prospetta: secondo la Cisl il futuro di transizioni e nuove aree di lavori si riesce a vincere solo con competenze e formazioni, tenendo fisso il tema della sicurezza e difesa delle categorie più deboli.
Per questo il leader cislino Sbarra pone come obiettivo la costruzione di un nuovo «Statuto della persona nel mercato del Lavoro che sostenta tutti», con qualsiasi contratto e in ogni rapporto di lavoro. Piuttosto che Articolo 18, abolizione Jobs Act e Salario Minimo, la priorità per lo Stato deve essere l’investimento ingente su competenze e formazione: «Serve una stagione di corresponsabilità per una nuova politica dei redditi», rileva ancora il sindacalista, incentivando i rinnovi e legando gli aumenti della produttività ai salari dei lavoratori. Il tutto con un drastico taglio delle tasse e una riforma fiscale progressiva ma redistribuiva: insomma, l’indirizzo del Governo senza essere perfetto è comunque sulla buona strada secondo Sbarra, complice anche le due riforme portate avanti sugli incentivi alle assunzioni nel Sud (l’ultimo Decreto 1 maggio, ndr) e sulla partecipazione degli utili delle aziende per i dipendenti, «è una nostra battaglia e vediamo l’obiettivo vicino con la nostra proposta di legge in discussione ora in Parlamento» a firma Lega.
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