Anno: XXV - Numero 214    
Giovedì 21 Novembre 2024 ore 13:20
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Sulla politica estera schieramenti divisi.

Ma Schlein non potrà mettere la polvere sotto il tappeto.

Sulla politica estera schieramenti divisi.

Quasi ovunque coalizioni politiche divise sulla politica estera rappresenterebbero un problema enorme, tanto più in una fase non di bonaccia ma con due guerre in corso e con la spaccatura all’interno delle coalizioni che proprio quelle guerre riguarda.

Nel voto del Parlamento europeo sull’Ucraina entrambe le coalizioni italiane hanno confermato di essere su posizioni opposte in materia di politica estera e nel Pd è emersa una lacerazione interna che ha portato i parlamentari ad assumere non due ma ben quattro posizioni diverse. Da noi però la questione appare come secondaria e trascurabile per due ordini di motivi. Il primo è che appunto entrambi i poli si trovano nella medesima situazione e nessuno ha interesse a puntare l’indice sulle magagne degli avversari perché così facendo sposterebbe sotto i riflettori anche le proprie. Il medesimo discorso vale per i media che sempre più, e non solo in Italia, interpretano la loro funzione come propaganda di parte, più o meno dissimulata. Dunque citano la sì la spinosa faccenda ma senza insistere troppo.

La seconda realtà che permette di glissare su una questione così macroscopica è che agli elettori italiani la politica estera interessa poco e comunque non orienta il voto. Pesa molto meno delle sapide avventure dell’ex ministro Sangiuliano e della signora Boccia o dell’ultima gaffe del ministro Lollobrigida. Il guaio è che in casa le forze politiche hanno buon gioco nel far finta di niente appena varcato il confine la proporzione si rovescia ed è proprio la politica estera a determinare la disposizione dei Paesi alleati, cioè della Ue e della Nato, nei confronti dell’Italia e della sua politica interna.

Due esempi possono illustrare in abbondanza cosa ciò significhi: Giorgia Meloni deve le sue fortune all’estero, che sono notevoli e in una certa misura sorprendenti trattandosi dell’unica leader di destra nei confronti della quale al posto del cordone sanitario è stato steso il tappeto rosso, proprio all’essersi schierata per tempo e con tutta la determinazione del caso nel fronte più deciso a sostenere a ogni costo Kiev. Opposto il caso della crisi del governo Draghi e della disastrosa mancata alleanza tra Pd e M5S nel 2022: l’emarginazione dei 5S che innescò la crisi e le porte chiuse del Pd all’alleanza con Conte derivava proprio dall’inaffidabilità a livello internazionale dell’ex premier sul piano che in Europa e nella Nato conta infinitamente più di tutti gli altri, appunto quello della guerra.

Sarebbe ingenuo pensare che le cose siano cambiate o siano destinate a cambiare: il nodo che in Italia viene considerato come poco rilevante è in realtà decisivo a livello internazionale e di conseguenza, per vie più o meno traverse, anche sugli equilibri politici interni. A prima vista anche in questo caso la divisione interna simmetrica mette centrodestra e centrosinistra in condizione identica. La realtà però è diversa anzi opposta. La destra al governo ha già dimostrato di saper contenere le divisioni ricompattandosi nei fatti e nei voti. Meloni deve buona parte della sua fortuna all’estero proprio al figurare come leader di destra in grado di contenere e disinnescare le spinte antialtlantiste e putiniane che campeggiano negli altri partiti sovranisti, caso più unico che raro almeno nell’Europa occidentale. Per lei, a conti fatti, la rumorosa ma inoffensiva presenza della Lega comporta più vantaggi politici che danni.

Quella prova di poter tenere a bada le posizioni degli alleati sulla guerra il Pd deve ancora darla e i precedenti storici non autorizzano aperture di credito in bianco. Non dipende tanto dai limiti o dalla rissosità dei leader della sinistra, che pure c’è. L’elemento chiave, qui, sono però gli elettori di sinistra, soprattutto di quella più radicale, molto meno disposti a transigere di quelli dell’altra sponda. Tanto per Conte quanto per Fratoianni sarebbe molto difficile piegarsi con la disinvoltura di Salvini, perché sanno che una parte del loro elettorato potrebbe non perdonarglielo. Il problema quasi non si pone sinché ci si trova all’opposizione e con le elezioni politiche distanti. Però, senza una modifica sensibile del quadro internazionale, crescerà via via che le urne si avvicinano.

Per ora però sono lontane e per questo la segretaria del Pd può permettersi di ignorare il problema, rinviandone la soluzione a quando la faccenda si farà urgente e con la comprensibile speranza che la realtà cambi nel frattempo tanto da toglierla dall’imbarazzo. Però l’esperienza della scorsa legislatura dovrebbe evidenziare quanto la strategia della polvere sotto il tappeto e del rinvio della risoluzione dei nodi possa rivelarsi esiziale.

Il Dubbio

 

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