Terzo mandato: alti ideali e bassa battaglia
La questione di filosofia politica è quanto debbano durare le cariche elettive: nelle regioni, ma anche alla Casa Bianca o all'Eliseo. Da noi diventa l'occasione per l'abile sabotaggio di Meloni ad alleati e oppositori.
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A George Washington, quando si delineò il successo della guerra d’indipendenza contro gli inglesi, fu offerta la corona dei nascenti Stati Uniti. L’idea di fare della nuova nazione americana una monarchia era in sintonia con lo spirito dei tempi. Ma il generale non ebbe esitazioni nel rifiutare e la storia, come sappiamo, andò in altra direzione. Per fortuna, verrebbe da dire. Fu alla fine della Seconda guerra mondiale che si fissò il limite di due mandati per il presidente in carica. Questo perché Franklin Delano Roosevelt, per via della Grande Depressione e poi della guerra mondiale, era stato eletto per quattro mandati. Sembrava troppo, vicino a quella monarchia che alla fine del Settecento Washington aveva declinato. In Francia François Mitterrand è stato l’unico a restare all’Eliseo per quattordici anni. Dopo di lui, con Jacques Chirac, si è stabilito un limite di cinque anni per la presidenza e la possibilità di una sola rielezione. Sergio Mattarella è stato rieletto, come tutti sanno, e resterà al Quirinale fino al 2029, circondato dalla stima generale. Questo per dire che il problema esiste e un po’ ovunque – tranne, beninteso, nella Russia di Vladimir Putin e in simili autocrazie – si tende a porre un argine al potere, al fine di mantenere sano il meccanismo democratico. Tuttavia ciò non vale, peraltro, per chi guida il governo. Angela Merkel è rimasta in carica, regolarmente rieletta, per sedici anni; Margaret Thatcher per dieci e si potrebbe continuare. La nostra Giorgia Meloni, considerando il potere personale che si è costruita con abilità e l’insufficienza dell’opposizione, potrebbe ripercorrere le loro orme. Nessuno a questo punto si sorprenderebbe.
Qui s’inserisce l’iniziativa che ha smosso le acque sia a destra sia a sinistra. Il tema del “terzo mandato” precluso ai presidenti di regione in virtù di una decisione di Palazzo Chigi sta suscitando molta attenzione, ma anche robuste polemiche in quanto presenta un aspetto amministrativo e un risvolto politico. Sotto il profilo amministrativo prevale l’idea che sia giusto fissare un tetto ai presidenti per non creare nel tempo dei feudi personali (ricordate l’intemerata di Massimo D’Alema contro i “cacicchi”?). È comprensibile, benché sia da tenere in conto l’obiezione: non sarebbe meglio lasciare che sia il popolo, con il suo voto, a determinare da chi vuole essere governato? Non stiamo parlando della presidenza di una nazione, certo non degli Stati Uniti, la cui guida impone un drammatico stress e una responsabilità schiacciante, bensì dell’amministrazione di una regione. E infatti già la presidenza del Consiglio, in Italia come altrove, è lasciata interamente al gioco elettorale (e spesso alle manovre di palazzo). Dunque, ci sono ottimi motivi per negare il terzo mandato, come pure per autorizzarlo.
Ma attenzione al risvolto politico, forse il vero punto da considerare. Giorgia Meloni con una semplice mossa ha gettato lo scompiglio nella sua stessa coalizione e anche nelle file dell’opposizione. A Napoli è come se avesse gettato un grosso sasso nello stagno. Vincenzo De Luca non ha alcuna intenzione di farsi da parte e minaccia di sabotare la campagna del centrosinistra. Un compromesso è ancora possibile, forse, ma non bisogna farci troppo affidamento. De Luca ha personalità da vendere e un sicuro istinto per il potere. I suoi rivali sono deboli, l’intesa tra Pd e 5S come al solito è fragile. Una storia da seguire passo dopo passo. E nel centrodestra la mancata candidatura in Veneto di Luca Zaia, personaggio cruciale e popolarissimo, scompagina gli equilibri nella Lega, in un momento in cui Matteo Salvini è in difficoltà, contestato proprio da coloro che lo accusano di non aver tutelato l’anima settentrionale del Carroccio. Perché la premier destabilizza la sua stessa maggioranza? Forse proprio perché non crede che Salvini possa fare niente di serio contro il governo. Adesso deve guardare in casa sua e avrà molto da fare.
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