A ROMA LA SANITÀ IN SCIOPERO SCENDE IN PIAZZA
Appello dei sindacati alla premier Meloni: "Agire subito perché il Ssn non muoia per sempre".
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Una leggera pioggia ha fatto da cornice alla manifestazione organizzata a Roma in piazza Santi Apostoli in occasione dello sciopero nazionale di 24 ore dei medici, dirigenti sanitari, infermieri e altre professioni sanitarie. L’agitazione, che termnina oggi a mezzanotte, è stata indetta dalle associazioni Anaao Assomed, Cimo-Fesmed e Nursing Up. Numerosi i partecipanti arrivati da tutti Italia ‘per dare un segnale ai cittadini e al governo- ha spiegato all’agenzia il segretario nazionale Anaao-Assomed, Pierino Di Silverio– e se ai cittadini diciamo che non siamo carnefici, siamo vittime quanto lo siete voi di disservizi creati in 15 anni di disinvestimenti sul Servizio sanitario nazionale, al governo diciamo di agire subito perché il Sistema sanitario non muoia per sempre. Risorse, riforme, sicurezza e formazione- ha proseguito- sono le nostre parole d’ordine. Se in questa Finanziaria non ci sono abbastanza risorse per i professionisti, i professionisti continuano ad andare via dal sistema di cure. Se dopo questa Finanziaria non si fanno risorse sostanziali della presa in cura del paziente, il paziente continuerà a non avere accesso pubblico alle cure, in contrapposizione all’articolo 32 della Costituzione. Se non formiamo gli specializzandi e non cominciamo a pagare gli specializzandi di area sanitaria, le specializzazioni saranno sempre meno attrattive’. Infine, il tema sicurezza. ‘Se non facciamo una scelta coraggiosa sulla depenalizzazione dell’atto medico- ha evidenziato Di Silverio- continueremo ad operare con la spada di Damocle della giustizia ordinaria, ordinistica e mediatica sulle nostre spalle. In queste condizioni ce ne andiamo’. In piazza Santi Apostoli anche numerosi specializzandi. ‘Noi- si sfoga uno di loro- cerchiamo di rimanere in Italia nonostante la pubblica amministrazione e chi ci governa ci mette i bastoni fra le ruote. Io sono uno studente-lavoratore fuori sede specializzando al terzo anno. Prendo 1.652 euro di stipendio, di borsa di studio. Di questi, vanno via 2.400 euro di tasse all’anno, più le spese di affitto, circa 500 euro al mese. Poi ci sono da pagare l’Enpam, l’assicurazione medica, perché oggi non è facile lavorare con pendenze legali a proprio carico, e si paga anche l’Ordine dei medici, altri 100 euro. A noi, dunque, rimangono poche briciole per poter costruire, a 31 anni, una famiglia. Io, in questo momento, non posso permettermi di costruirmi una famiglia, questa è la cosa grave’.
Tante le persone, ‘armate’ di bandiere e cartelloni: uno recita ‘Vista la considerazione del Governo, si chiede alla popolazione di andare a partorire in Parlamento’. Un altro riporta la frase ‘La sanità è un diritto, difenderla un dovere’, mentre su un altro si legge ‘I diritti sono come i muscoli, se non si esercitano si atrofizzano!’. C’è anche chi si chiede ’30mila assunzioni di medici e infermieri: dove sono finiti? Governo, tu prometti e non mantieni’. È un pugno allo stomaco il messaggio riportato da un manifesto: ‘In Europa siamo i migliori, ma i nostri stipendi sono i peggiori’, mentre su un grande lenzuolo bianco c’è scritto ‘Specializzandi sfruttati, stipendi bloccati, meritiamo di più!’. Il presidente Cimo-Fesmed, Quido Quici, si dice ‘profondamente deluso da questa Finanziaria, che effettivamente stanzia delle risorse, che però sono diluite nel tempo, nei prossimi anni. E poi non c’è più lo sblocco del tetto di spesa che c’era stato promesso. Questo significa non assumere personale e offrire meno assistenza e meno prestazioni sanitarie ai cittadini, Non mi venissero a dire- ha inoltre ammonito Quici- che ci sono le aggressioni a danno dei sanitari, quando poi gli ambulatori saranno sempre più spogli, quando ci saranno sempre meno medici e meno infermieri. Non riesco nemmeno a capire il motivo per il quale il blocco del tetto di spesa rimane ma si vogliono assumere 10mila indiani, cubani e venezuelani. È un controsenso ed è una forte anomalia, oppure è una visione ben precisa di come non si vogliono ridurre i tempi di attesa dei cittadini italiani andando a proporre un’offerta sanitaria che, oggi come oggi, è notevolmente ridotta’. Anche il presidente del Nursing Up, Antonio De Palma, punta l’indice contro l’esecutivo. ‘Chiediamo soluzioni concrete rispetto alla crisi dell’infermieristica, della professione delle ostetriche e delle altre professioni sanitarie ex legge 43 che ormai versa in condizioni di gravità inaudite. Ci sono 30mila infermieri emigrati all’estero proprio a causa dei nostri stipendi, a causa del trattamento che ci riservano i nostri contratti. Eppure, la nostra politica sembra di disinteressarsene’. ‘Noi- ha continuato- chiediamo quindi un’integrazione concreta delle risorse a noi destinate e non da venire come è stato fatto col documento di programmazione, non dal 2027 dal 2028 e dal 2029, li chiediamo oggi, perché noi siamo quelli che ogni giorno vanno negli ospedali, ogni giorno timbrano il cartellino, non rimandiamo di assumere le nostre responsabilità: chiediamo pertanto al governo di fare lo stesso, chiediamo il riconoscimento delle nostre attività come usuranti, perché siamo quelli che fanno i turni continui in una sanità allo sfascio. Lavoriamo per due, per tre: se non è usurante questa attività, quale altra attività lo è?’. ‘Chiediamo che ci riconoscano i ragazzi che frequentano i percorsi di formazione- ha inoltre dichiarato il presidente del Nursing Up- che anche loro, come accade per i medici, ricevano un assegno, perché gli studenti di infermieristica, di ostetricia, delle professioni sanitarie svolgono attività in ospedale quasi come fossero indipendenti. Chiediamo poi che venga abolito concretamente il vincolo di esclusività: hanno fatto un provvedimento che, purtroppo, non funziona perché lascia alle aziende la facoltà di negare il riconoscimento di quel diritto. E così su 10 infermieri e ostetriche che lo chiedono, solo uno o due riescono a poter uscire dall’ospedale e andare a svolgere la propria attività.
Chiediamo- ha infine detto Antonio De Palma– che l’indennità di specificità infermieristica venga corrisposta subito, non nel 2028, e venga estesa alle ostetriche, perché spostare la corresponsione di questa indennità a quattro o cinque anni rappresenta per noi un’offesa’. In piazza c’è spazio anche per una lettera inviata alla premier Giorgia Meloni e letta sul palco. ‘Egregio Presidente, la nostra non è una protesta nata in modo estemporaneo ma affonda le radici negli anni passati, caratterizzati, sia a destra che a sinistra, da una visione politica della sanità pubblica estremamente miope che, di fatto, non tutela la salute dei cittadini…Questi finanziamenti sono appena sufficienti a mantenere lo status quo e non saranno certamente alcuni interventi legislativi a ridurre le liste di attesa senza un vero intervento strutturale di rilancio del Ssn…I cittadini sono arrabbiati perché la nostra sanità non assicura pienamente il diritto alle cure, i sanitari lo sono ancor di più perché sottopagati, denunciati e le aggressioni di tutti i giorni testimoniano che esiste una vera emergenza sociale che il governo è tenuto a prendere in seria considerazione. Non si può migliorare l’offerta dei servizi ai cittadini senza rilanciare l’offerta sanitaria. Non si possono ridurre gli interminabili tempi d’attesa continuando a mantenere il blocco del tetto di spesa sul personale. Non si può tamponare, con finanziamenti spot, l’attuale emergenza sanitaria andando a finanziare quella sanità privata che sfrutta i propri dipendenti senza rinnovare loro i contratti di lavoro da quasi 20 anni’. Prosegue il testo. ‘Siamo costantemente bersaglio di aggressioni fisiche e verbali. Continuiamo ad essere, insieme alla Polonia e al Messico, l’unico Paese al mondo in cui un errore sanitario, chiaramente non intenzionale, può essere sanzionato penalmente. Abbiamo gli stipendi più bassi d’Europa. Per supplire alle sempre più gravi carenze di organico rinunciamo a ferie, riposi, congedi e malattie. Sono sempre di meno, quindi, i colleghi disposti ad accettare tutto questo, e sempre di più coloro che invece decidono di abbandonare il Servizio sanitario nazionale preferendo lavorare all’estero o nella sanità privata, dove tuttavia la situazione non è molto più rosea. Sono temi, questi- conclude la lettera- da cui dipende la salute della popolazione, e che non possono diventare terreno di scontro tra partiti di maggioranza e di opposizione, né appannaggio esclusivo di una parte politica. Riteniamo dunque necessario che, sulla sanità, tutto l’arco parlamentare lavori unitariamente, mettendo da parte rivendicazioni ed egoismi e ponendo al centro dell’azione politica i bisogni dei pazienti e le necessità dei professionisti della salute’. Nonostante tutto, la volontà è quella di guardare al futuro con fiducia. ‘Come medico internista sono qui in piazza per la terza volta e parlo per Cimo-Fesmed- le parole di Cristina Cenci, che lavora all’ospedale di Foligno- ora mi aspetto che da domani nel mio ospedale ci siano i posti letto giusti che servono per ricoverare i pazienti. Ma non solo nel mio ospedale, in tutti gli ospedali d’Italia. Da medici non possiamo più vedere pazienti che stazionano nei Pronto Soccorso solo perché i posti letto negli ultimi 20 anni sono stati tagliati e non è stato riorganizzato il territorio. Gli appoggi fuori dal reparto di competenza sono rischiosi per i pazienti e per i medici: per me questa è la sofferenza più grande, quella di non poter garantire ai cittadini le cure che servono perché per esigenze di finanza pubblica si è tagliato sulla sanità, non sugli sprechi, non si è riorganizzato il modo di lavorare, si è solo tagliato il posto letto, il numero di medici e infermieri che lavorano, la carriera dei medici e la responsabilizzazione dei medici non serve più a nessuno e nessuno ne vuole sapere. Da questa piazza- ha concluso con gli occhi lucidi- esco contenta se da domani veramente le cose cambiano’.
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