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DALLA GIUSTEZZA ALLA GIUSTIZIA.

I test psicoattitudinali si faranno. Ma le toghe non ci stanno.

DALLA GIUSTEZZA ALLA GIUSTIZIA.

Nella seduta di ieri il Consiglio dei ministri ha approvato, in sede di esame definitivo, un provvedimento di attuazione della legge 17 giugno 2022, n. 71, recante deleghe al Governo per la riforma dell’ordinamento giudiziario, sul quale sono stati acquisiti i prescritti pareri delle Commissioni parlamentari. A seguito delle osservazioni formulate, si legge nel comunicato di Palazzo Chigi, il testo “introduce test psicoattitudinali per i candidati in ingresso nei ruoli della magistratura. Inoltre, ai fini della valutazione di professionalità del magistrato, prevede per il consiglio giudiziario e il Consiglio superiore la possibilità di acquisire, oltre ai provvedimenti a campione, anche ulteriori specifici provvedimenti oppure intere categorie di provvedimenti. Infine, si consente l’ammissione al concorso anche dei candidati che siano stati dichiarati per quattro volte non idonei”.

Nulla di più per i “test psicoattitudinali” all’ingresso in magistratura sicché il Consiglio Superiore sarà libero di confezionare i test che, si è sentito dire, saranno affidati a docenti universitari. Inoltre, dovranno assicurare la par condicio a tutti i candidati evitando che, pur in presenza di test uguali, i giudizi siano diversi se residua, al di là delle risposte ai questionari, una qualche discrezionalità agli esaminatori. Ciò che è possibile in quanto la verifica dell’attitudine ad esercitare funzioni giudiziarie non potrebbe essere affidata a domande preconfezionate per l’ovvia considerazione che potrebbe essere semplice impararle a memoria così frustrando la finalità del test.

Queste considerazioni, necessariamente generiche in mancanza di elementi ulteriori rispetto allo scarno comunicato, dimostrano che la decisione riguarda materia complessa, non facile da definire, come attesta il fatto che il tema della verifica dell’attitudine psicologica di un candidato all’esercizio delle molteplici funzioni giudiziarie accompagna da anni il dibattito sulla Giustizia.

Infatti, i test attitudinali dovranno accertare non solamente se il candidato magistrato è consapevole della necessità di dimostrare assoluta indipendenza nell’esercizio delle sue funzioni, di non essere influenzabile da condizioni personali e ambientali, ma deve anche essere capace di valutare con equilibrio fatti e comportamenti oggetto delle decisioni a lui affidate. Ciò che non riguarda solamente le condotte che, ai sensi dell’art. 43 del Codice penale, sono qualificabili come colpose o dolose, ma fatti e relazioni che fanno da contorno all’atteggiamento psicologico dei soggetti in qualche modo presenti sul campo perché la complessità delle situazioni di diritto e di fatto è molto spesso dovuta alla presenza di altri non direttamente coinvolti nelle vicende all’esame del magistrato. Per dire, con parole probabilmente inadeguate ma mi auguro capaci di far comprendere le difficoltà, di decidere su fatti e comportamenti che caratterizzano uno scenario la cui identificazione negli elementi che lo caratterizzano non è sempre agevole. Perché se viene spontaneo pensare che i test servano a valutare le capacità professionali di un magistrato addetto al penale, nondimeno il contesto caratterizza il giudizio che attiene a decisioni in campo civile, amministrativo e contabile.  In questi ultimi casi, in particolare, è necessario comprendere se chi giudica è capace di valutare, al di là della singola norma, decisioni di rilievo amministrativo o contabile assunte dall’operatore amministrativo.

Insomma, la questione è seria, considerato il “potere” dei magistrati di adottare decisioni che incidono sui diritti delle persone per cui non sarà agevole confezionare test che diano la certezza che, al momento dell’ingresso in carriera, il candidato abbia un profilo psicologico adeguato alle funzioni che dovrà svolgere. Allo stesso tempo dovrà essere assicurata a tutti i candidati la stessa valutazione perché non possiamo nasconderci che il giudizio sulla idoneità psicologica, posto a garanzia della delicatissima funzione, potrebbe prestarsi a possibili manipolazioni, enfatizzando o trascurando taluni profili psicologici del nuovo candidato. E comunque, come già accennato, non dovrà accadere che, ad esempio, un candidato non superi il test che, nelle stesse condizioni, sia superato, invece, in presenza di un altro esaminatore.

A tale riguardo ho da tempo suggerito di considerare la possibilità che l’obiettivo possa essere raggiunto con altri metodi, ad esempio inserendo nelle commissioni giudicatrici uno psicologo e modulando le prove scritte in modo che dalle risposte al quesito giuridico, da formulare in termini teorici e pratici, ad esempio confezionando un atto giudiziario significativo, si possa comprendere se, oltre alla conoscenza del diritto e della giurisprudenza, il candidato abbia quell’equilibrio che è richiesto dalla delicatissima funzione per la quale si propone. La valutazione collegiale sul candidato darebbe certezze sul punto della sua attitudine all’esercizio della giurisdizione. Ad esempio, nei concorsi per l’accesso alla Corte dei conti o ai TTAARR è prevista la stesura della parte in diritto di una sentenza che indubbiamente consente di capire se l’aspirante magistrato ha una capacità di giudicare con equilibrio fatti e comportamenti rilevanti ai fini della decisione.

È noto come l’Associazione Nazionale Magistrati (A.N.M.) abbia da tempo manifestato perplessità sull’introduzione dei test psicoattitudinali perché se diffusa è la consapevolezza della necessità di disporre di magistrati dotati della capacità di analisi e di elaborazione degli elementi che emergono nel contesto esaminato, dubbi riguardano soprattutto il meccanismo di verifica che ancora oggi risulta un oggetto misterioso in quanto l’espressione contenuta nel comunicato stampa di Palazzo Chigi non fuga tutte le variegate perplessità registrate nel dibattito. Considerato, altresì, che non basta valutare l’attitudine dei candidati, occorrendo anche verificarne il lavoro concreto svolto nel corso dell’attività attraverso periodiche valutazioni di professionalità. Anche sotto questo versante il contrasto delle opinioni è notevole per le molteplici implicazioni che ne derivano perché qualcuno potrebbe essere indotto ad eliminare un magistrato incomodo od a salvare un soggetto amico ma incapace. In entrambi i casi sarebbe un danno grave per l’immagine della funzione, certamente la più delicata tra quelle affidate da sempre agli ordinamenti statali.

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