Anno: XXV - Numero 235    
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DIECI MILIARDI PER LE PROFESSIONI SANITARIE

L’appello dell’ordine dei medici al governo. Aumenta sempre di più il numero di cittadini che rimangono senza cure. Per il 90% degli italiani sanità deve essere priorità nella Legge di Bilancio: ci vogliono dieci miliardi di euro.

DIECI MILIARDI PER LE PROFESSIONI SANITARIE

La manovra “va male”, perché “non c’è la consapevolezza che il sistema è in una fase di grande sofferenza”, ha detto il presidente della Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Fnomceo), Filippo Anelli, intervenendo ieri ad Ancona agli “Stati generali delle professioni della salute” nell’ambito delle iniziative extra G7 Salute, appena concluso.
Alla vigilia del vertice di maggioranza che vedrà il presidente del Consiglio Giorgia Meloni confrontarsi con i due vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani proprio sulla prossima legge di Bilancio, Anelli accoglie con favore l’impegno del ministro Schillaci a prevedere risorse dedicate alla valorizzazione del personale.

“La posta in gioco è alta – afferma Anelli – ed è la sopravvivenza del nostro Servizio sanitario nazionale. E a dirlo non siamo solo noi, ma i cittadini. Secondo l’ultimo Rapporto Censis-Fnomceo, presentato il mese scorso, otto italiani su dieci ne sono convinti: se in questi anni, nonostante i tagli e attraversando la più grande emergenza sanitaria dalla sua fondazione, il Servizio sanitario ha retto, lo si deve all’impegno straordinario dei medici e degli altri professionisti. Che lo hanno puntellato con sforzo individuale, in condizioni difficili e senza un ritorno economico adeguato”.

“Per l’87,2% dei cittadini – ricorda Anelli – è quindi prioritario migliorare le condizioni di lavoro e le retribuzioni dei medici, proprio perché li considerano la risorsa più importante della sanità. Per il 92,5% occorre assumere subito medici e infermieri nel Servizio sanitario, anche per dare un taglio rapido alle liste di attesa, mentre l’84,5% è convinto che avere troppi medici con contratti temporanei indebolisce la sanità. Numeri, questi, che fanno il paio con un recente sondaggio condotto dall’Istituto Piepoli: per il 90% dei cittadini, la sanità deve essere una priorità del Governo nella Finanziaria. Per il 37%, merita addirittura il primo posto”.

Purtroppo, la realtà è ben diversa: sempre secondo la fotografia del Censis – riporta una nota della Fnomceo – a fronte di un balzo della spesa per lavoro a tempo determinato che è quasi raddoppiata in dieci anni (+93,4% dal 2012 al 2022), nello stesso lasso di tempo le risorse destinate al personale permanente sono aumentate solo del 6,4%. Con il risultato che le retribuzioni dei medici sono in picchiata: sempre dal 2012 al 2022, in termini reali sono addirittura diminuite, del 6,1%. E sono sempre più lontane, in valore assoluto, da quelle dei colleghi europei. Questo, insieme alle condizioni di lavoro, aggravate dagli episodi di violenza, dai carichi insostenibili, dalla burocrazia, dalle denunce ingiuste, porta sempre più medici ad abbandonare il Servizio sanitario nazionale, verso il privato e verso l’estero.

“Dobbiamo rendere attrattivo il nostro Ssn – esorta Anelli – per arginare questa fuga, questo stillicidio che, al ritmo di dieci medici al giorno, risulta alla fine in una dimissione in massa. Dobbiamo fermare questa emorragia o il risultato sarà la morte per consunzione del Ssn, svuotato della sua linfa vitale, i suoi professionisti. E i cittadini rimarranno senza cure”. “Già oggi – sottolinea Anelli – chi può si rivolge alle assicurazioni, al privato. Chi non ha mezzi, rinuncia a curarsi. Sono 4 milioni e mezzo, secondo gli ultimi dati Istat, i cittadini che rinunciano alle cure: l’equivalente degli abitanti dell’Emilia-Romagna. Se non agiamo subito, a breve diventeranno oltre il doppio, tanti quanti i dieci milioni che popolano la Lombardia. Siamo sicuri che non sia questa la volontà del Governo – conclude Anelli – che, sin dall’inizio, ha manifestato il suo impegno a investire in sanità. Ora è il tempo di giocare la partita sul campo, trovando le risorse per il nostro Ssn e per i suoi professionisti. È il momento di rendere di nuovo attrattivo il lavoro ad altissima utilità sociale all’interno della sanità universalista, per la quale gli italiani continuano a nutrire un amore indefettibile: quasi il 92% considera la sanità per tutti quale motivo di orgoglio per il Paese e distintività a livello internazionale. Anche per questo, l’83,6% dichiara esplicitamente che, dopo l’esperienza traumatica del Covid, si aspettava molte più risorse e un impegno più intenso per potenziare la sanità. Ora è il momento giusto per dar seguito a quelle aspettative e a quelle richieste. Noi abbiamo chiesto dieci miliardi sulle professioni sanitarie – ha spiegato – perché oggi sul territorio ci sono solo medici di famiglia, mancano gli infermieri, le ostetriche, i tecnici e gli psicologi”.

Divero è l’approccio di Teresa Calandra presidente della Federazione nazionale delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione, della prevenzione (Fno-Tsrm e Pstrp). “Continuare a ragionare su modelli organizzativi che non prevedano tutte le professioni produrrà uno sviluppo della medicina sul territorio che non sarà coerente con i bisogni di salute e benessere del cittadino – ha detto –  si deve tener conto di tutte le professioni e non solo di alcune”.

Secondo la Calandra, le liste d’attesa si abbattono con le professioni tecniche. Uscendo da una logica medico-centrica.

Quando si parla di investimenti sul personale sanitario “non ci si deve limitare a due professioni, medici e infermieri”, perché la galassia della sanità è fatta di diverse professioni “e le liste di attesa si abbattono anche coinvolgendo e investendo sulle altre professioni”.

    Calandra segnala che “non mancano solo medici e infermieri, e paradossalmente una grossa parte di attività dovrebbe essere svolta “da altre professioni che attualmente nel sistema non ci sono”.

Tra questi i tecnici di radiologia, una delle professioni dell’area tecnica. “Invece si continua a dire che le liste di attesa possono essre abbattute incrementando il numero di medici e infermiere. È messaggio distorto”.

    Ma le professioni devono essere valorizzate “attraverso una maggiore autonomia e responsabilità, invece si continua a pensare che professioni laureate debbano continuare a svolgere un ruolo ancillare”. Il riferimento è alla sanità digitale che ci aiuta a portare la sanità a domicilio, nel territorio. “Le professioni sono tutte laureata, hanno nei loro profili l’autonomia, hanno la responsabilità delle attività che svolgono “e bisogna riconoscerlo. Uscire da una logica di sanità medico-centrica. È un concetto da scardinare, non da noi ma all’interno dei territori dove già i nostri professionisti operano”. Calandra pensa “ai contesti dove già operiamo in modo autonomo, penso alla telemedicina, tele radiologia, telecardiologia la teleriabilitazione. Diffusissime, però non ancora riconosciuti in modo chiaro, così c’è sempre un’ambiguità da superare.

 

 

 

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