Anno: XXVI - Numero 50    
Mercoledì 12 Marzo 2025 ore 13:45
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GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA AI SANITARI

Medici e infermieri aggrediti, dati da bollettino di guerra.Un sistema letteralmente sotto assedio, in cui chi si prende cura degli altri è costretto a lavorare in condizioni di pericolo costante.

GIORNATA INTERNAZIONALE CONTRO LA VIOLENZA AI SANITARI

La frequenza dei casi di cronaca su aggressioni contro il personale sanitario appare ormai pressoché quotidiana, e non si tratta di un fenomeno di amplificazione mediatica: i dati delle violenze negli ospedali e pronto soccorso sono da bollettino di guerra e raccontano un trend in preoccupante aumento. Nel 2024, tra sanità pubblica e privata, sono state oltre 25mila le aggressioni denunciate, che non includono tra l’altro gli episodi sommersi.

Un caso emblematico degli ultimi mesi e che ha fatto in una certa misura da spartiacque nella percezione pubblica del fenomeno è quello avvenuto lo scorso settembre al Policlinico Riuniti di Foggia: medici costretti a barricarsi in una stanza del reparto di Chirurgia toracica, preso d’assalto da decine di persone tra familiari e amici di una giovane di 23 anni deceduta durante un intervento chirurgico.

Una scrivania, un divano e lo stesso corpo dei sanitari posti davanti alla porta del locale, per evitare che i parenti della ragazza sfogassero la loro furia: i minuti di terrore sono stati documentati da un video che ha fatto il giro del web, scatenando le reazioni di sindacati e associazioni di categoria, oltre che della politica. Non a caso pochi giorni dopo è approdato in Consiglio dei ministri il decreto (diventato legge a novembre) cosiddetto “anti-violenze”, su spinta del ministro della Salute Orazio Schillaci.

La nuova normativa inasprisce le pene per chi si macchia di aggressioni contro il personale sanitario, introducendo anche il reato di danneggiamento delle strutture e dei beni destinati all’assistenza sanitaria. Viene previsto, in particolare, il reato specifico di lesioni personali contro professionisti sanitari e socio-sanitari, con arresto obbligatorio in flagranza e, a determinate condizioni, l’arresto in flagranza differita. In occasione del 12 marzo, giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari, è il professor Giovanni Migliore, presidente della Federazione italiana delle Aziende sanitarie e ospedaliere (Fiaso), a fare il punto sul fenomeno. Proprio a partire dal significato e dall’impatto della nuova normativa.

“Fiaso è stata la prima a chiedere un inasprimento delle pene e protocolli con le forze dell’ordine, avevamo prodotto documenti e analisi che sono agli atti delle commissioni parlamentari già da dieci anni. Finalmente questo governo e il parlamento hanno accolto le nostre richieste. Le nuove norme rappresentano un segnale chiaro di tolleranza zero verso la violenza. Alcuni casi hanno già trovato applicazione, ma – spiega il dottor Migliore – servirà tempo per un’analisi più completa dei dati”. Questi, al momento, parlano di un incremento del 5,5 per cento degli episodi di aggressione, con in media 116 episodi di violenza in ogni azienda sanitaria in un solo anno.

I numeri mostrano inoltre che il 70 per cento delle vittime di aggressioni sono donne. Questo, da una parte, ci dice che “la sanità è sempre più femminile: oltre il 65% degli operatori è donna. Ma – dall’altra – il dato non può essere letto solo in termini numerici”. Secondo il dottor Migliore “è evidente che spesso si tratta anche di violenza di genere. L’aggressore generalmente è un vigliacco arrogante che si scaglia con prepotenza contro chi ritiene più fragile ed è in prima linea a gestire situazioni critiche”, sottolinea Migliore.

Sul rischio di un contrasto alla violenza esclusivamente in ottica punitiva che la nuova normativa potrebbe portare con sé, “nessuno ha mai pensato che il solo rafforzamento delle pene potesse risolvere il problema”, dice il presidente Fiaso. “La sicurezza del personale sanitario passa anche da ambienti di lavoro più protetti, formazione mirata e un monitoraggio costante del fenomeno. È fondamentale l’approvazione dell’arresto in flagranza differita, anche questo un un provvedimento che chiedevamo da tempo. Inoltre, le aziende sanitarie, soprattutto nelle realtà più difficili, si sono impegnate giorno dopo giorno per rendere più sicure le aree d’emergenza, controllare gli accessi degli ospedali e potenziare i sistemi di videosorveglianza”.

Un passo in avanti importante nel potenziamento della sicurezza negli ospedali è stato fatto con il Pnrr, spiega Migliore. “All’inizio di quest’anno abbiamo documentato che sette pronto soccorso su dieci hanno già sistemi di videosorveglianza e personale di vigilanza, e in oltre metà dei casi sono presenti presidi fissi di polizia”.

 

 

 

Sul punto, un sondaggio condotto da Demopolis tra i lettori delle testate Citynews evidenzia come la stragrande maggioranza degli intervistati (l’83 per cento) sarebbe favorevole ad una presenza regolare delle forze dell’ordine nei pronto soccorso, accanto al personale di sorveglianza.

Il ministero della Salute, spiega Migliore, “ha recentemente individuato una misura specifica per finanziare sistemi di protezione passiva e videosorveglianza negli ospedali. Questo permetterà di accelerare interventi che molte aziende sanitarie portano avanti da anni per migliorare la sicurezza di chi lavora in prima linea. Ma attenzione: il 50 per cento delle aggressioni avviene fuori dagli ospedali, nei piccoli centri e sul territorio. Serve una revisione del sistema della continuità assistenziale – sottolinea Migliore – oggi abbiamo diecimila medici, oltre agli operatori sanitari, che lavorano nelle guardie mediche, un presidio anacronistico, non possiamo permetterci di esporli al rischio rischio di essere aggrediti, tra l’altro anche senza un evidente contributo all’assistenza territoriale”.

C’è poi il tema delle misure di contrasto al fenomeno. Per il professor Migliore, aldilà dell’inasprimento delle pene, è essenziale ricostruire un rapporto di fiducia tra cittadini e sanità. “La chiave è una corretta informazione. I cittadini devono sapere cosa aspettarsi con certezza in termini di cure e servizi per i propri bisogni e in quali tempi. Serve un nuovo patto di fiducia, basato su trasparenza e comunicazione”.

Proprio il miglioramento della comunicazione tra l’utenza e il personale di pronto soccorso viene menzionato dal 60 per cento degli intervistati nel sondaggio Demopolis. Per il 78 per cento è necessario incrementare il personale in modo da ridurre il sovraffollamento. Ritenuto appunto la causa principale delle tensioni. Emerge poi in modo evidente il bisogno di una sanità territoriale più vicina ai cittadini, che possa fornire un’alternativa ai pronto soccorso.

Sul punto, secondo il presidente Fiaso è necessario rivalutare e rendere “più attuale” il ruolo del medico di medicina generale: “Deve tornare ad essere il riferimento delle nostre famiglie”.

Resta imprescindibile, secondo Migliore, cambiare la narrazione sulla sanità pubblica: “Oggi il Servizio sanitario nazionale viene spesso raccontato solo attraverso le sue criticità vere, il più delle volte tuttavia amplificate dalla polemica politica e dalla ricerca di ascolto di trasmissioni televisive trash. Ma – osserva – la sanità pubblica italiana è soprattutto quotidiana eccellenza, innovazione, professionalità. Offre a tutti i cittadini assistenza qualificata e interventi complessi, dalla chirurgia all’avanguardia ai percorsi terapeutici con costosissimi farmaci innovativi assicurati gratuitamente ai pazienti cronici. Pensiamo agli oncologici, a chi è affetto da malattie neurodegenerative, ai bambini con patologie rare e complesse. Se la vita degli italiani si è allungata tanto, lo dobbiamo anche al nostro Servizio sanitario pubblico. Raccontare solo ciò che non funziona, spesso in modo ideologico e forzato, significa ignorare questa realtà e privare il Paese di una visione costruttiva per il futuro”.

Il messaggio lanciato il 12 marzo, sottolinea Migliore, è rivolto a tutti, utenti e personale: “Non possiamo limitarci a denunciare le aggressioni: dobbiamo cambiare la narrazione sulla sanità pubblica. Raccontare ogni giorno un Sistema sanitario in crisi perenne non aiuta a migliorarlo, ma esaspera gli animi di chi lavora e di chi ha bisogno di cure. Il rischio è che la denuncia diventi fine a sé stessa e sia percepita come un rumore di fondo che non risolve nulla, ma avvelena il dibattito pubblico. Oggi si parla solo delle criticità e poco di ciò che funziona: eppure, nonostante le difficoltà, il Sistema sanitario garantisce assistenza di qualità e raggiunge traguardi straordinari, anche nei contesti più difficili”.

 

Ci sono le barriere d’accesso al Servizio sanitario nazionale con il 52,2% dei cittadini che ha vissuto un’esperienza negativa in Pronto soccorso tra liste d’attesa e mancanza di informazioni. Ma anche la mancanza di personale verificata dal 66,4% delle persone. Sono queste le principali cause all’origine della violenza contro medici e infermieri e contro gli altri operatori sanitari, descritte nel III Rapporto “Centralità del medico e qualità del rapporto con i pazienti per una buona sanità. Alle origini della criticità della condizione dei medici nel Servizio sanitario”, realizzato dalla Federazione nazionale dei medici e degli odontoiatri (Fnomceo) con il Censis in vista della Giornata nazionale contro la violenza sugli operatori sanitari e sociosanitari, che il 12 marzo sarà celebrata a Foggia. Il rapporto, che vuole indagare le cause della violenza nei confronti dei medici e degli altri operatori sanitari, è stato costruito, oltre che su numeri provenienti da banche dati istituzionali, attraverso una doppia intervista: un’indagine condotta su un campione nazionale rappresentativo di 1.000 italiani maggiorenni e una su 500 medici.

Per quanto riguarda la percezione dei cittadini, i dati mostrano il gap tra aspettative ed esperienze concrete, il cui esito inevitabile è un’incrinatura nel rapporto medico-paziente.

Medici ancora nel mirino, due nuove aggressioni nel Napoletano e in Salento

 

Fnopo: in 1 caso su 7 coinvolgono donne. Vaccari: “Serve educare al rispetto dell’altro”

“In un caso su sette le aggressioni ai danni dei sanitari coinvolgono professioniste donne. Un dato che sottolinea come la professione ostetrica, popolata da una maggioranza di donne, su 21mila circa 300 sono uomini, è tra le più colpite dal fenomeno”. Lo denuncia la presidente della Federazione nazionale degli ordini della professione ostetrica (Fnopo) Silvia Vaccari, in occasione della Giornata nazionale di educazione e prevenzione contro la violenza nei confronti degli operatori sanitari e socio-sanitari che ricorre il 12 marzo di ogni anno.

Anelli, presidente nazionale Ordine dei Medici: “Sanitari non sono bersagli, servono norme urgenti”

“Gli infermieri sono la categoria più colpita dalle aggressioni contro il personale sanitario. Nonostante si siano registrati importanti passi in avanti sul contrasto e la prevenzione, le violenze continuano, in particolare contro le donne”.

Comunica, in una nota, la Federazione Nazionale Ordini delle Professioni i

“Questi episodi, spesso, nascono da mancate risposte che i cittadini patiscono per la carenza di personale, che peggiora una situazione di disagio organizzativo e di stress lavorativo – spiega la Fnopi -. Accanto alle misure di contenimento messe in atto dal governo, che pure stanno dando dei risultati concreti in termini di condanne, occorre costruire un percorso di sensibilizzazione dei cittadini rispetto al corretto utilizzo delle strutture e dei servizi del Servizio sanitario nazionale. Servono nuovi modelli organizzativi integrati, in grado di intercettare i bisogni dei cittadini e fornire risposte adeguate”.

“Con il volantino che sarà affisso negli ospedali e distribuito ai pazienti – spiega Pierino Di Silverio, Segretario Nazionale Anaao Assomed – vogliamo rivolgerci a chi insieme a noi vive disagio e preoccupazione dovuti non solo alla malattia ma anche alle difficili condizioni in cui lavoriamo che troppo spesso generano reazioni violente”.

“Purtroppo, nonostante l’inasprimento delle misure adottate dal Governo, il fenomeno non accenna a diminuire per ragioni che probabilmente nessuna misura repressiva sarà capace di fermare. Da un lato c’è la difficoltà ad accedere alle cure, soprattutto quelle in urgenza per i ben noti problemi di carenza di personale e di una organizzazione lacunosa. Dall’altro si è spezzato il rapporto di fiducia medico-paziente sostituito dal dottor Google e da diagnosi e terapie fai-da-te somministrate dai social o dalla rete, un rapporto quindi che va rifondato dalle basi”.

“Chiediamo – conclude Di Silverio – interventi normativi per riformare il percorso di cura del paziente a partire ad esempio da una diversa organizzazione dell’accesso in ospedale che deve prevedere la creazione di filtri, accogliendo non solo i pazienti ma anche i loro familiari, i più frequenti responsabili delle aggressioni che subiamo (il 61% delle aggressioni avviene a carico del familiare secondo l’ultimo studio Anaao). Anche le aziende però devono fare la loro parte, denunciando le violenze e costituendosi parte civile nei processi, nonché rispettando le norme previste dal decreto 81/2008 sulla sicurezza nei luoghi di lavoro. Solo in questo modo potremo sentirci meno soli e meno isolati nel nostro lavoro quotidiano”.

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