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INCENTIVI AI SANITARI NON FRENANO LE DIMISSIONI

Più soldi a medici e infermieri, i dubbi dei sindacati.

INCENTIVI AI SANITARI NON FRENANO LE DIMISSIONI

Centocinquanta milioni di euro per integrativi salariali per il personale sanitario nei reparti più sguarniti e nelle zone meno appetibili? I sindacati dicono sì al progetto di legge della Regione Veneto per «attirare e trattenere» medici e infermieri nelle strutture pubbliche, arginando la fuga al privato e le dimissioni in massa che mettono a rischio il servizio. Ma per il segretario regionale della Cisl Massimiliano Paglini è anche un «palliativo» perché la soluzione alla carenza di operatori non può essere solo economica: «Serve una risposta strutturale». Il problema, evidenzia, è datato e noto: «Non vorrei che questo provvedimento avesse un effetto placebo. Un’iniezione di risorse non affronta il problema demografico, che da un lato fa mancare la forza lavoro e dall’altra vede invecchiare la società. Per migliorare le condizioni di medici e personale sociosanitario non bastano i soldi, serve ragionare ad ampio spettro, siamo pronti al dialogo».

Giovanni Leoni, presidente di Cimo Fesmed Veneto, auspica che il confronto si possa aprire quanto prima: «Siamo abituati alle delibere ferragostane della Regione e a ricevere le informazioni dopo gli organi di stampa, aspetteremo di capire i contenuti. Ma accogliamo positivamente una proposta che risponde a quello che abbiamo chiesto più volte: incentivi a retribuzioni ormai fuori mercato, soprattutto nelle aree di emergenza e urgenza che oltre ai pronto soccorso riguardano anche la medicina interna, le chirurgie generali, ortopedia, traumatologia e urologia. E poi ci sono reparti come radiologia e laboratorio nei quali emerge con forza la grande concorrenza delle attività private. Mi congratulo per questa iniziativa dell’assessore Lanzarin per fronteggiare carenze sempre più drammatiche».

Il Veneto ha chiesto al Governo mille medici e tremila infermieri, 90 veterinari e 60 odontoiatri. Mancano soprattutto medici dell’emergenza-urgenza, anestesisti, pediatri, oculisti e radiologi. Considerato che la richiesta di prestazioni aumenta, che la popolazione sempre più anziana ha bisogno di servizi e che i bandi regionali vanno pressoché deserti, si studiano incentivi per zone disagiate e professioni a basso tasso di offerta, ma anche progetti di benessere lavorativo con flessibilità e supporto agli operatori.

Il «nodo» dei carichi di lavoro

La Cgil punge: «I fondi contrattuali in Veneto sono fra i più bassi in Italia – dice Sonia Todesco, Fp Cgil -. Eravamo 15esimi a livello nazionale, l’anno scorso, per retribuzioni del comparto sanitario, esclusi dirigenti e medici, oggi siamo ultimi con 29 mila euro di media. In Emilia Romagna sono 32 mila, in Lombardia 33 mila. Siamo soddisfatti dell’intervento della giunta, ma ci sono punti da chiarire. Vorrei capire i 150 milioni da dove vengono presi o tolti. Il problema resta quello delle condizioni di lavoro: gli operatori scappano non solo per cercare stipendi migliori, ma condizioni migliori». Chiude Marj Pallaro, Fp Cisl Veneto: «Apprezzo lo sforzo, la consapevolezza che il sistema sanitario stia attraversando un momento critico e ancor più complesso in prospettiva. A volte il personale preferisce lasciare il posto nel pubblico per incarichi meno gratificanti ma che garantiscono un migliore rapporto fra tempi di vita e lavoro. In montagna e nel Polesine, non siamo appetibili. Oltre alle integrazioni dobbiamo garantire carichi di lavoro meno pesanti. L’analisi deve essere condivisa con tutte le organizzazioni. E non dimentichiamo la carenza di oss nelle Rsa». (s.ma.)

 

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