Anno: XXV - Numero 207    
Martedì 12 Novembre 2024 ore 13:00
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MEDICO DI FAMIGLIA, UNA PROFESSIONE CHE SCOMPARE

L’Istat conferma le ragioni che portano verso lo sciopero.

MEDICO DI FAMIGLIA, UNA PROFESSIONE CHE SCOMPARE

I medici di medicina generale “sono la categoria, insieme agli infermieri, che desta maggiori preoccupazioni tra le professioni sanitarie per le prospettive future. Sono caratterizzati, infatti, da una struttura per età spostata verso le età prossime al pensionamento”, da un trend decrescente nel numero degli occupati e da un “incremento significativo” del numero di assistiti per ciascun medico. L’allarme arriva dal presidente dell’Istat, Francesco Maria Chelli, nell’audizione nelle commissioni riunite Bilancio di Senato e Camera sulla manovra. “I medici di medicina generale sono 6,7 per 10.000 abitanti e rappresentano il 15,7% dei medici totali”, ha detto Chelli. Si stima che circa il 77% abbia 55 anni e più, inoltre il loro numero è diminuito di oltre 6000 unità in dieci anni, da 45.437 nel 2012 a 39.366 nel 2022, e il numero di assistiti pro-capite è aumentato da 1.156 nel 2012 a 1.301 nel 2022.  Senza contare che la disponibilità dei medici sul territorio non è omogenea. «L’offerta è maggiore al Centro (4,8) e minore nel Nord-ovest e al Sud (4,0)», precisa il presidente dell’Istat. Il problema, in realtà già noto, ormai preoccupa anche le istituzioni visto che alla carenza dei medici si contrappone invece una richiesta sempre maggiore di assistenza di malati cronici e anziani. «La dotazione e l’invecchiamento del personale medico – ribadisce infatti il presidente dell’Istat – rappresentano criticità per il comparto della Sanità, anche alla luce del futuro aumento della domanda di cure dovuto alla dinamica della popolazione».

La conseguenza immediata è sotto gli occhi di tutti: le liste di attesa aumentano, chi può pur di curarsi in tempi adeguati mette mano al portafogli, mentre tantissimi sconfortati alla fine si arrendono.  «La quota di quanti hanno rinunciato a causa delle lunghe liste di attesa risulta pari al 4,5% (2,8% nel 2019) – è il monito di Chelli – Le rinunce per motivi economici riguardano il 4,2% della popolazione, quelle per scomodità del servizio l’1,0%».  Per i camici bianchi, da tempo sul piede di guerra, la fotografia scattata dall’Istat non fa che confermare la preoccupazione espressa anche di recente sulla tenuta del sistema sanitario nazionale. «I numeri indicati – avverte Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri – dimostrano che la carenza dei medici di medicina generale mette in discussione l’equità nell’accesso delle cure nel servizio sanitario nazionale. E questo avviene sempre di più nelle aree dove ci sono persone più fragili, perché la concentrazione dei pazienti è maggiore nelle grandi città, piuttosto che nelle periferie».

E se il fattore economico, che rende la professione poco attrattiva per i giovani, sembra avere un certo peso nella scelta dei laureandi, non è secondaria la prospettiva di rinchiudersi negli ambulatori a seguire pratiche burocratiche piuttosto che a dedicarsi alla cura dei pazienti. «Possiamo anche aumentare il numero dei pazienti da prendere in carico – denuncia Anelli – ma la situazione peggiorerà sempre di più perché i carichi di lavoro diventano abnormi e nessuno vuole fare più questo lavoro, perché faticoso e complesso». La richiesta si ripete in tutte le regioni, ma non sempre arrivano risposte concrete. «Solo la Puglia – spiega Anelli – ha siglato un accordo regionale che definisce come standard di lavoro la presenza di un medico e di un collaboratore di studio. Il che significa avere un aiuto sul piano burocratico. Questa scelta dovrebbe essere estesa a tutta l’Italia».

«I dati e le preoccupazioni espresse dal presidente dell’Istat Francesco Maria Chelli rimarcano tutto ciò che da anni lamentiamo nei confronti degli interlocutori politici, seriamente preoccupati per la sopravvivenza di una categoria, quella dei medici di medicina generale, che sostiene sulle proprie spalle il peso delle cure primarie e dell’assistenza di prossimità. Non si comprende come possa coesistere la consapevolezza istituzionale di questa criticità – certificata a questo punto dall’istituto nazionale di statistica – con una Legge di bilancio che dimentica di fatto la nostra categoria». Silvestro Scotti, segretario generale Fimmg, commenta così quanto è merso dall’audizione nelle commissioni riunite Bilancio di Senato e Camera sulla Manovra.

Se è vero che Chelli ha sottolineato come i medici di medicina generale “sono la categoria, insieme agli infermieri, che desta maggiori preoccupazioni tra le professioni sanitarie per le prospettive future, altrettanto vero è che da Fimmg torna ormai da tempo un forte monito sull’esigenza di intervenire presto e in modo concreto. «In assenza di interventi concreti – sottolinea il leader Fimmg – ogni commento sulla volontà di valorizzare la medicina generale resta solo speculazione. Già dal nostro Congresso nazionale è emerso con forza un grave disagio e una profonda sofferenza espressa dall’intera categoria. Ciò nonostante, nella Legge di bilancio perdura da parte dei decisori politici l’assenza di iniziative volte a stanziare risorse aggiuntive per il raggiungimento degli obiettivi di politica sanitaria per l’area dei medici convenzionati e quindi per la medicina generale».

Tra le proposte da tempo lanciate da Fimmg, è bene ricordarlo, la richiesta di una qualche forma di detassazione delle quote variabili che sono oltretutto collegate agli obiettivi delle Regioni contenute nel Patto della salute e nel PNRR, utili a sostenere lo sforzo assistenziale prodotto dai singoli medici. Cosi come viene chiesto un investimento sul corso di formazione in Medicina Generale (unica disciplina formativa post laurea con il maggiore rapporto di abbandono e senza copertura di posti messi a concorso) che in Manovra viene dimenticata. Anzi, se ne aumenta il gap, visto che il borsista già percepisce una borsa tassata e pari al 50% di quelle delle specializzazioni. Condizioni che ne riducono l’attrattività e bloccano un ricambio generazionale ormai non più rimandabile.

Nei dati espressi dal presidente Istat la dimensione di un problema che sta mettendo seriamente a rischio l’assistenza sanitaria per i cittadini. I medici di medicina generale sono 6,7 per 10.000 abitanti, il 15,7% dei medici totali, con il 77% sopra i 55 anni. Gravissimo anche l’aspetto delle carenze visto che il numero dei medici di medicina generale è diminuito di oltre 6.000 unità in dieci anni, da 45.437 nel 2012 a 39.366 nel 2022, e il numero di assistiti pro-capite è aumentato da 1.156 nel 2012 a 1.301 nel 2022. «Una platea – ricorda Scotti – che non è paragonabile con quelle di altri paesi europei, molto differenti per cronicità ed esigenze assistenziali. Siamo ad un bivio che conduce verso direzioni diametralmente opposte e ora c’è da decidere da che parte vogliamo traghettare il Servizio sanitario bene primario nel nostro paese».

L’Enpam esprime preoccupazione per la fotografia scattata dall’Istat sui medici di medicina generale. “Il problema riguarda tutti i cittadini che faranno sempre più difficoltà ad accedere all’assistenza di prossimità, e anche per le pensioni di chi ha svolto questa professione per una vita, non c’è da star tranquilli se non se ne prevede il rimpiazzo”, dice il presidente dell’Enpam Alberto Oliveti. “Come ente previdenziale del lavoro autonomo, possiamo assicurare le prestazioni solo se il flusso dei contributi dei medici lavoratori autonomi non viene intaccato – aggiunge Oliveti – . Invece nella sua audizione in Parlamento il presidente dell’Istat ha lanciato l’allarme proprio per l’aumento dell’età dei medici di medicina generale, dei loro pensionamenti e per la tendenza alla diminuzione dei professionisti in attività. Un trend assolutamente da invertire.”. “Da tempo l’Enpam chiede che il corso di formazione in medicina generale diventi una specializzazione, al pari di tutte le altre discipline mediche, per aumentare l’attrattività di questa professione fondamentale, e che si dedichino maggiori risorse economiche alla medicina del territorio”, conclude il presidente della Cassa dei medici e degli odontoiatri.

Redazione DottNet

 

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