MERCOLEDÌ ALLE CAMERE. E POI?
Meno di settantadue ore alla resa dei conti. La crisi potrebbe rientrare improvvisamente come Draghi confermare le dimissioni. A quel punto il voto potrebbe diventare inevitabile.
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Manca poco per il grande giorno. Il tempo di un viaggio istituzionale, a caccia di gas per l’Italia in Algeria, e il presidente del Consiglio tornerà a Roma per vedersela con le Camere. Le comunicazioni si terranno in Parlamento mercoledì. Solo allora sapremo se il premier avrà accontentato le richieste di Conte e del Movimento 5 Stelle – e dunque la crisi rientrerà – oppure se la rottura con i grillini sarà totale. Con la possibilità, perfino, che si consumi uno strappo a metà.
Gli scenari che si aprono davanti a noi sono molteplici, pieni di colpi di scena e imprevisti. Prima di tutto se il Movimento 5 Stelle rientrerà a pieno titolo nei ranghi della maggioranza bisognerà capire le mosse del centrodestra, perchè Salvini e Berlusconi, in queste ultime 48 ore, hanno ripetuto più volte che Conte e i suoi sono ormai “politicamente inaffidabili”. Stamattina, peraltro, il segretario leghista ha detto via Twitter, senza giri di parole, che il “patto di fiducia alla base del governo Draghi è ormai saltato”. Vedremo se questo significherà che il centrodestra di governo è pronto ad appoggiare Draghi senza M5s oppure se la strada è quella del voto anticipato.
Comunque, come sottolinea oggi in un’intervista al Corriere il costituzionalista de La Sapienza Gaetano Azzariti, dopo mercoledì si aprono tre scenari. “Nel primo si trova una nuova sintesi, le dimissioni vengono ritirate e il governo prosegue”. Tradotto: amici come prima. Lo scenario, al momento, più complicato da vedere trasformarsi in realtà. Ma dopo questa legislatura non si può escludere assolutamente nulla. Forse è più probabile che se la crisi dovesse rientrare i Cinque Stelle optino per un appoggio esterno, con il ritiro dei nove membri pentastellati dell’esecutivo tra cui i ministri Patuanelli, D’Incà e Dadone. Sempre che questi ultimi accettino di buon grado la decisione del capo.
“Nel secondo scenario – prosegue Azzariti – Draghi prende atto che non si sono ridefiniti gli equilibri politici, conferma la volontà di essere presidente solo di un governo di unità nazionale, ribadisce le dimissioni”. Questa è l’ipotesi per cui molti osservatori in queste ore propendono. Cioè: la tesi è che i Cinque Stelle strapperanno e allora Draghi manterrà la parola data: “Non esiste maggioranza senza M5S”. A quel punto: su al Quirinale di nuovo, da Mattarella, e dimissioni irrevocabili. Anche se, numeri alla mano, ne abbiamo parlato, sia alla Camera sia al Senato l’attuale premier potrebbe godere di sufficienti parlamentari per procedere con l’azione di governo da qui a fine legislatura l’anno prossimo. Lega e Fi permettendo, ovviamente (per le ragioni di cui sopra).
Il terzo scenario è storicamente molto intrigante. Ci fa tornare indietro ai tempi della Prima Repubblica. Quando le crisi che si consumavano in media ogni nove mesi spesso cadevano in piena estate. Per questo, il presidente della Repubblica di turno procedeva alla formazione di un governo cosiddetto balneare. Cioè un esecutivo che traghettasse l’attività di governo per qualche mese, a volte anche solo poche settimane (vedi i 22 giorni del Fanfani I nel 1954), in vista della formazione di una nuova maggioranza che andava fermentandosi proprio in quelle settimane di transizione. Oppure direttamente verso nuove elezioni politiche.
Ed è qui che si apre un altro bivio nelle nostre previsioni: abbiamo davanti una fitta tabella di marcia per l’approvazione delle riforme necessarie a rispettare gli impegni con Bruxelles per l’attuazione del Pnrr. Inoltre, in autunno, si apre la canonica sessione di bilancio. La finanziaria, la legge più importante dell’anno politico. Andare alle urne tra settembre o più probabilmente ottobre sarebbe un azzardo che forse Mattarella deciderebbe di non prendere, evitando dunque di sciogliere le Camere subito dopo le dimissioni irrevocabili del premier. E detonando la rabbia di Meloni e di parte della Lega. Ma per evitare le urne anticipate, il Quirinale dovrà inventarsi qualcosa: una maggioranza alternativa – impossibile fare previsioni ora – oppure la stessa ma con un presidente del Consiglio e un programma differente. Inutile fare nomi però, aspettiamo mercoledì.
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