NESSUN CONCORDATO BIENNALE PER LE CASSE.
Il concordato preventivo biennale postula un accordo tra il professionista e il Fisco dove il professionista può patteggiare accettando il reddito calcolato dall’Agenzia delle Entrate.
In evidenza
Il consiglio dei Ministri il 25 gennaio 2024 ha approvato il decreto legislativo n. 13/2024, attuativo della delega fiscale in merito alle disposizioni in materia di accertamento tributario che hanno introdotto il cd. concordato preventivo biennale.
L’art. 19 del decreto legislativo 13/2024 così recita:
«Rilevanza delle basi imponibili concordate.
- Fermo restando quanto previsto agli articoli 15, 16 e 17 e al successivo comma 2, gli eventuali maggiori o minori redditi effettivi, o maggiori o minori valori della produzione netta effettivi, nel periodo di vigenza del concordato, non rilevano ai fini della determinazione delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive, nonché dei contributi previdenziali obbligatori. Resta ferma la possibilità per il contribuente di versare i contributi sul reddito effettivo se di importo superiore a quello concordato come integrato ai sensi degli articoli 15 e 16.
- In presenza di circostanze eccezionali, individuate con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, che determinano minori redditi effettivi o minori valori della produzione netta effettivi, eccedenti la misura del 50 per cento rispetto a quelli oggetto del concordato, quest’ultimo cessa di produrre effetti a partire dal periodo di imposta in cui tale differenza si realizza.
- Per i periodi d’imposta oggetto di concordato, ai contribuenti che aderiscono alla proposta formulata dall’Agenzia delle entrate sono riconosciuti i benefici previsti dall’articolo 9-bis, comma 11, del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96.
Note all’art. 19: Per il riferimento all’articolo 9-bis del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 giugno 2017, n. 96, si veda nelle note all’articolo 1».
La dizione “nonché dei contributi previdenziali obbligatori” vale anche per le Casse di previdenza dei professionisti?
La Suprema Corte di Cassazione se ne è già occupata a proposito dell’adesione al concordato fiscale di cui all’art. 33 del d.l. n. 269/2003 convertito con la legge n. 326/2003 con le sentenze di Cassazione n. 3916/2019 e, da ultimo, con l’ordinanza 11.10.2022, n. 29639 che così recita:
«Che, in considerazione dell’intima connessione delle due censure (che sostanzialmente concretano una denuncia di violazione di legge), i due motivi possono essere trattati congiuntamente e sono fondati, essendosi chiarito che, ai fini della determinazione della base reddituale per il computo del contributo soggettivo dovuto da un professionista nei confronti di una delle casse di previdenza di cui al d.lgs. n. 509/1994, non è utilizzabile il reddito determinato in sede di concordato preventivo biennale di cui all’art. 33, d.l. n. 269/2003 (conv. con I. n. 326/2003), potendo concernere quest’ultimo soltanto l’obbligazione tributaria ma non anche il rapporto obbligatorio contributivo tra il professionista e la propria Cassa di riferimento (così, con riguardo ai contributi dovuti dagli ingegneri e architetti all’INARCASSA, Cass. n. 3916 del 2019); Che, a sostegno dell’anzidetto principio di diritto, si è osservato che, in conseguenza dell’avvenuta privatizzazione delle casse professionali e dell’imposizione a loro carico dell’equilibrio economico-finanziario quale principio fondamentale di gestione, la determinazione di un reddito imponibile concordata ab externo con l’amministrazione fiscale costituirebbe sicura violazione dell’autonomia delle casse e della normativa speciale previdenziale che demanda ad esse la potestà di sanzionare omissioni contributive e/o di condonarle mediante misure premiali (così ancora Cass. n. 3916 del 2019, cit., in motivazione); Che contrari argomenti non possono desumersi dal tenore del comma 7 dell’art. 33, cit., secondo cui “sul reddito che eccede quello minimo determinato secondo le modalità di cui al comma 4 non sono dovuti contributi previdenziali per la parte eccedente il minimale reddituale” (e, “se il contribuente intende versare comunque i contributi, gli stessi sono commisurati sulla parte eccedente il minimale reddituale”), atteso che tale disposizione va necessariamente coordinata con quella di cui al precedente comma 3, lett. a), del medesimo art. 33, giusta la quale l’adesione al concordato preventivo, se comporta la determinazione agevolata delle imposte sul reddito, può fare altrettanto solo “in talune ipotesi” per i contributi previdenziali, vale a dire in riferimento a quelli dovuti a enti diversi dalle casse privatizzate;».
Ne consegue che alla Cassa di riferimento dovrà essere dichiarato il reddito effettivo e non quello concordato con il Fisco.
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