Anno: XXV - Numero 219    
Giovedì 28 Novembre 2024 ore 13:00
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NESSUNO LI PUÒ GIUDICARE.

I Magistrati votano lo sciopero (1.081 sì, 169 no) contro la mini riforma della Giustizia. I due errori socio culturali entrambi profondi ed esiziali del ceto politico e della Magistratura nelle sue rappresentanze organizzate

NESSUNO LI PUÒ GIUDICARE.

Magistrati i sciopero contro la riforma (peraltro mini) dell’Amministrazione della Giustizia, dove la notizia? Non c’è in realtà notizia, nessuna forma di intesa, nessun piano comune di idee, valori e obiettivi ci può essere tra due voglie assolute e simmetricamente incontinenti. Il potere politico, il ceto politico sogna da decenni magistrati funzionari del governo (perché no, anche dei partiti, magari modello Rai). Magistrati che eseguono e soprattutto seguono gli indirizzi e i non si fa della politica. E al sogno il potere politico e il ceto politico aggiunge l’acre sapore della rivincita dopo molte sconfitte e non pochi soprusi (sì, soprusi) subiti nella pluridecennale battaglia tra poteri dello Stato. La Magistratura nei decenni si è assuefatta e accomodata nell’idea che la sua autonomia corrisponda a intoccabilità e soprattutto significa che in tema di Giustizia la sovranità e il potere di far o non fare leggi appartenga alla categoria e a nessun altro potere, men che mai a quello politico. Quindi nessuna sorpresa o notizia nel fatto che i Magistrati proclamino sciopero contro una riforma dell’amministra giustizia peraltro non poco all’acqua di rose.

Il ceto politico, in particolare quello di centro destra, finge di occuparsi dolente delle sofferenze del cittadino costretto ad essere vittima, vittima stritolata da una amministrazione della Giustizia lenta, lentissima. E quindi di fatto aleatoria, crudele, non di rado bizzarra. Così stanno le cose ma non è questa la vera preoccupazione del ceto politico che vuole invece la Giustizia si faccia i fatti suoi e non si impicci quando incontra la politica (un tempo così c’è stato ed è durato almeno 30 anni dal dopoguerra in poi).

La riforma, l’ultima della serie, coerentemente fa poco o nulla per modificare al fondo l’amministrar giustizia e dà soddisfazioni (limitate ma pur sempre soddisfazioni) all’invito tutto politico alla Magistratura a non allargarsi troppo. La Magistratura, almeno nelle sue rappresentanze organizzate, finge di darsi pena per l’efficienza dell’amministrar Giustizia. Ma non è questo il suo vero cruccio, che è invece quello di restar padrona a casa sua (?). Quindi una riforma molto di forma e poco di sostanza e uno sciopero quasi da riflesso condizionato.

Un punto che somma due macroscopici ed esiziali errori. Il punto è la valutazione, il fascicolo, la pagella produttiva per i magistrati che la riforma introduce. Qui i magistrati si comportano e si crogiolano nello stesso errore sociale e culturale dei prof, degli insegnanti. Una profondissima istanza corporativa viene spacciata per garanzia del servizio (giustizia o istruzione che sia) e impera il valore non negoziabile del nessuno mi può giudicare. Togli ad una categoria professionale la possibilità stessa della valutazione, equipara la valutazione ad ad oltraggio e ingerenza e avrai una corporazione orgogliosa della sua inefficienza, vittimista e lamentosa.

Macroscopico ed esiziale (per giustizia e istruzione) l’errore socio culturale del respingere la valutazione professionale. Ma errore simmetrico e profondamente intriso di faciloneria ignorante quello di pagelle ai magistrati sulla base di quante volte ci “indovinano”, cioè quante indagini vanno a sentenza di colpevolezza e condanna. Come se indagine e processo con assoluzione fossero sprechi o prove di inefficienza. Le pagelle che la politica propone per i magistrati in realtà danno buoni voti quando indagini e processi vanno a colpo più o meno sicuro, quindi quando i magistrati si occupano di poco ma sicuro.

I buoni anche in questo italiano film sulla giustizia non ci sono. Ma anche qui, dove la notizia? Un conduttore televisivo di quelli bravi e attenti, Giovanni Floris, ha rilevato con intelligenza il montare in cima alla scala dei valori di un intollerante “mi conviene”. Non l’avversione mistico-magica ai vaccini ma la prosaica eugenetica: a me giovane Covid fa poco e niente, che mi frega se muoiono i vecchi, perché mai dovrei fare qualcosa per non far morire i vecchi? Oppure non filo Putin o filo Nato ma: a me che me ne viene se ucraini restano liberi e che ci vado a perdere se Ucraina viene cancellata, perché dovrei fare qualcosa?  Salendo o scendendo i gradini di importanza, fate voi, a me che me ne viene se giustizia o istruzione…? Quel che mi conviene, quel che conviene alla mia tribù, anzi clan, anagrafico, professionale, territoriale che sia è l’unico dio che rispetto, omaggio e prego.

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