PENALISTI IN SCIOPERO CONTRO IL DDL SICUREZZA
L’Ucpi lancia la protesta dal 4 al 6 novembre: per l’Unione Camere Penali il ddl «rivela nel suo complesso una matrice securitaria, populista illiberale e autoritaria».
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I penalisti italiani incroceranno le braccia il 4, 5 e 6 novembre. Al centro della protesta il ddl sicurezza, già approvato alla Camera e ora in discussione nelle commissioni Giustizia e Affari costituzionali del Senato. Secondo l’Unione delle Camere Penali, infatti, «il pacchetto sicurezza, lungi dal porsi in sintonia con un programma di riforma della giustizia in senso liberale, rivela nel suo complesso e nelle singole norme una matrice securitaria sostanzialmente populista, profondamente illiberale e autoritaria, caratterizzata da uno sproporzionato e ingiustificato rigore punitivo nei confronti dei fenomeni devianti meno gravi ed ai danni dei soggetti più deboli, caratterizzandosi per l’introduzione di una iniqua scala valoriale, in relazione alla quale taluni beni risultano meritevoli di maggior tutela rispetto ad altri di eguale natura, in violazione del principio di ragionevolezza, di eguaglianza e di proporzionalità».
L’associazione politica degli avvocati prende atto che «nonostante le sollecitazioni da parte dell’avvocatura, gli incontri con il Ministro della Giustizia e le audizioni davanti alle Commissioni Parlamentari» l’iter della legge sembra proseguire spedito. Il 5 novembre alle 10 è prevista anche una manifestazione nazionale a Roma presso il Centro Congressi “Roma Eventi Fontana di Trevi”, alla quale parteciperanno esponenti dell’Avvocatura e dell’Accademia «per sollecitare il Parlamento ad adottare tutte le opportune modifiche alle norme del pacchetto sicurezza in senso conforme alla Costituzione ed ai principi del diritto penale liberale».
Oggi proprio il presidente dell’Unione, Francesco Petrelli, è stato audito dalle commissioni di Palazzo Madama. Ha definito «iniqua e vessatoria» la previsione normativa, introdotta con un emendamento di Fratelli d’Italia a Montecitorio, di non poter sottoscrivere «un contratto telefonico per il “cittadino di uno stato non appartenente all’Unione europea, per il solo fatto di essere sprovvisto di titolo di soggiorno”. Si tratta di un divieto che sortirà effetti maggiormente “ghettizzanti”, ostacolando il processo di integrazione di un essere umano presente sul territorio nazionale, con contestuale aumento del rischio di ulteriori episodi di illegalità, in senso nettamente difforme rispetto alle finalità di sicurezza pubblica perseguite dal pacchetto normativo in esame».
Nella memoria illustrata ai commissari, Petrelli si è poi soffermato sull’ordine del giorno proposto dalla Lega e approvato alla Camera di organizzare un tavolo per valutare come prevedere il blocco androgenico mediante terapie con effetto temporaneo e reversibile per i condannati per violenza sessuale: «Quanto al versante costituzionale interno, la misura in discussione immediatamente richiama l’incivile immagine della “pena corporale”; autorevoli voci hanno definito la castrazione chimica una “misura inumana e contraria alla dignità della persona”. Ciò basterebbe per sollevare dubbi di compatibilità costituzionale. Tuttavia, si ritiene che l’art. 27 co. 3 Cost. rilevi anche sotto un ulteriore profilo, ossia quello della finalizzazione della pena alla rieducazione del condannato. Ebbene, tale imprescindibile elemento teleologico sembra costituire una preclusione insuperabile, non potendosi ragionevolmente intravedere alcun tratto rieducativo e risocializzante».
Ha poi criticato l’art. 15 per cui il rinvio della pena per donne incinte e madri di prole fino a un anno viene reso facoltativo: «Si allineano, nell’intenzione del legislatore, le condizioni tra le madri di figli di età maggiore o minore di un anno attraverso la scelta carcerocentrica, seppure presso gli ICAM sulla cui notoria carenza (solamente 5, con distribuzione territoriale assai disomogenea), tuttavia, non si interviene, in virtù della clausola di invarianza finanziaria. Con la inevitabile conseguenza che si apre alle donne in attesa ed ai bambini la porta del carcere, nonostante siano note le condizioni drammatiche nelle quali versano gli istituti del nostro Paese». Ciò «non solo in termini di sovraffollamento, ma anche di carenza di organici e di personale sanitario e psichiatrico, con conseguenze evidentemente negative di termini di tutela della salute e dell’integrità fisica e psichica di madri e minori, che dovrebbero essere oggetto di specifica tutela costituzionale».
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