VIA LA STRETTA ALLA CESSIONE CREDITI PER IL 110%.
Funziona il pressing delle banche sul governo
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Lo stop alla cessione dei crediti del Superbonus era una spada di Damocle sui bilanci bancari.
Ieri l’Abi, la Confindustria delle banche, lo ha fatto presente in audizione alla commissione Bilancio del Senato e il governo si è mosso con sollecitudine. Le nuove norme saranno inserite nel prossimo decreto Bollette, che il governo dovrebbe varare giovedì o venerdì. Secondo quanto filtrato, il limite massimo delle cessioni dovrebbe essere innalzato da uno a tre [se queste avvengono nel sistema bancario) a fronte di una sorta di «bollinatura», ossia l’apposizione di un codice che certifichi la veridicità del credito stesso. Il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, inoltre ha firmato il decreto che fissa i tetti massimi per gli interventi del Superbonus 110%, aumentandoli almeno del 20% in considerazione del maggior costo delle materie prime e dell’inflazione.
Tutto bene quel che finisce bene, dunque. Non proprio. Perché ieri nel corso dell’audizione parlamentare il diretto generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, ha plasticamente rappresentato la preoccupazione circa la misura restrittiva del Sostegni-ter, marcando il primo storico scollamento fra il mondo finanziario e l’esecutivo guidato dall’ex presidente della Bce. La cessione del credito del Superbonus «sostiene la ripresa dell’economia, a fronte dell’attuale periodo emergenziale, consentendo di monetizzare sin da subito il beneficio fiscale altrimenti utilizzabile in un prolungato arco temporale e garantendo, dunque, maggiore liquidità immediata a famiglie e imprese», ha detto Sabatini. «Inoltre – ha aggiunto – da un lato vengono immesse maggiori risorse a disposizione dei contribuenti, aumentandone la propensione alla spesa e, dall’altro, l’edilizia e il suo indotto, uno dei settori a più alto contributo del Pil nazionale, ricevono una maggiore spinta propulsiva». Fermare il Superbonus in una fase di rallentamento generalizzato del ciclo macroeconomico sarebbe, pertanto, sconsigliabile. Inoltre, ha concluso, «occorre che siano chiariti in modo univoco le casistiche in cui trova applicazione il concorso di colpa con riferimento al Superbonus affinché la possibilità di utilizzare – correttamente – in compensazione i crediti d’imposta acquistati in buona fede non sia messa in discussione e non sia compromesso il buon funzionamento del meccanismo di cessione». Un chiaro riferimento ad alcune mosse di Procure e Agenzia delle Entrate che, nel corso delle indagini su alcune frodi, hanno congelato i crediti fiscali delle banche sebbene la legge preveda che la responsabilità sia in carico al primo cedente del credito.
Ma sono i numeri a spiegare perché il governo si sia mosso con sollecitudine nonostante non ami il Superbonus (e nonostante truffe accertate per circa 4 miliardi di euro). Resta alta la tensione sul Superbonus con i suoi 18 miliardi di incentivi ammessi. La stretta ha infatti costretto al blocco dell’operatività primari operatori come Poste (4 miliardi di crediti acquistati di cui il 25% per il Superbonus) e Cassa depositi e prestiti (400 milioni). Anche i colossi come Intesa Sanapolo (2 miliardi già acquisiti e 9 miliardi in lavorazione), Unicredit (1 miliardo) e Banco Bpm (650 milioni) rischiavano, tuttavia, di bloccarsi frenando non solo la crescita dei ricavi (lo sconto della fattura) ma anche quella dei margini (il credito di imposta portato in detrazione).
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