Anno: XXVI - Numero 31    
Giovedì 13 Febbraio 2025 ore 13:40
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Con la coccarda e senza cedimenti.

La strada in salita dell'incontro dei magistrati con il governo.

Con la coccarda e senza cedimenti.

Un confronto che parte in salita. Perché dovrebbe arrivare dopo mesi in cui lo scontro è stato portato a livelli che si fa fatica a ricordare nell’ultimo decennio. E perché le due parti in causa – politica e magistratura – alternano segnali di distensione ad altri che dalla controparte vengono interpretati come bellicosi. Dopo l’elezione – avvenuta l’8 febbraio – del nuovo presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Cesare Parodi (della corrente di centrodestra, Magistratura indipendente), è all’orizzonte un possibile incontro tra i vertici delle toghe e il governo.

Cesare Parodi l’ha proposto, Giorgia Meloni l’ha accettato, il neopresidente dell’Anm ha detto che ci andrà ma “senza nessun cedimento”, e conferma lo sciopero contro la riforma della giustizia fissato per il 27 febbraio. Già queste premesse fanno capire che parlare di nuova stagione nei rapporti tra i due poteri dello stato è quantomeno azzardato. Anche perché, mentre la premier apre al dialogo, il suo più fidato componente del governo, il sottosegretario Alfredo Mantovano fa sapere – con evidente ironia – di avere “incorniciato” l’avviso di indagine che gli è arrivato sul caso Almasri. Un avviso firmato da colui che ora il governo vede come il massimo nemico: il procuratore di Roma, Francesco Lo Voi.

Il governo attacca ancora, dunque. E la magistratura risponde. Lo fa soprattutto respingendo al mittente chi l’accusa di corporativismo.

Giuseppe Santalucia, consigliere di Cassazione e fino a due giorni fa presidente dell’Anm – incarico che ha ricoperto per quattro anni – parla ad HuffPost delle dinamiche tra i due poteri dello Stato. Lo fa con la cognizione di causa di chi ha guidato il sindacato delle toghe nel corso di una stagione lunga e travagliata, costellata di polemiche: “Dire che ci siamo chiusi al confronto non risponde a verità. L’Anm, sotto la mia presidenza, è sempre stata apertissima al dialogo, a un dialogo vero, franco, sincero e costruttivo. Il dialogo noi l’abbiamo sempre cercato”, è la tesi. “Ma si dialoga – aggiunge – se c’è una materia su cui dialogare”. Su questo punto chiama in causa direttamente il ministro della Giustizia, Carlo Nordio: “Se ci viene detto che su alcune questioni non c’è possibilità di dialogo perché bisogna andare avanti “fino alla riforma finale”, per usare le parole usate dal ministro pochi giorni fa, è chiaro che non siamo noi a chiudere gli spazi di confronto. Del governo abbiamo sempre rispettato la funzione. Ma abbiamo sempre preteso un reciproco rispetto della nostra, che non è di minor significato”.

La riforma finale di cui parla Nordio è la separazione delle carriere. Che la magistratura vede come punitiva e volta al controllo delle toghe: “È il giudizio unanime, di tutta la magistratura associata e credo anche dell’attuale gruppo dirigente”, spiega Santalucia. Che chiama ancora una volta in causa il Guardasigilli: “Al di là dell’analisi tecnica del testo, è chiaro che l’obiettivo sia quello di indebolire la magistratura. Lo dimostrano i contenuti dell’intervento del ministro che, durante la sua relazione sull’amministrazione della giustizia, ha parlato del pubblico ministero come un organo fuori controllo. Non siamo noi a dire che la riforma tende a ridimensionare l’autonomia del pm e, quindi, del giudice, ma è il ministro proponente che lo dice”.

Contro la separazione delle carriere è stato indetto, per il 27 febbraio, uno sciopero. Questa forma di protesta dice l’ex presidente dell’Anm, “l’abbiamo sempre vissuta come uno strumento per rafforzare la comunicazione esterna delle ragioni della contrarietà alla riforma, non per chiudersi, in maniera anche arrogante e stupida come una corporazione che cerca di difendere se stessa”.

Il cambio di dirigenza non ha portato a un’inversione di tendenza. Come ha spiegato Parodi durante il primo incontro del nuovo ‘parlamentino’ delle toghe “revocarlo non avrebbe senso”. Anche se non è detto che l’iniziativa possa segnare un punto a favore delle toghe. “Dobbiamo mettere in conto che alcuni non aderiranno e dobbiamo essere pronti quando ci salteranno addosso e ci diranno ‘vedete neanche i vostri colleghi vi seguono”, ha dichiarato il neo presidente dell’Anm. L’altra iniziativa, deliberata il 9 febbraio, è tutta simbolica: è stata data, ai magistrati che lo vorranno, l’indicazione di indossare una coccarda tricolore sulla toga durante le udienze civili e penali. Tutti i giorni, fino allo sciopero.

La notizia della conferma dell’astensione dal lavoro indispone il governo. Indispone soprattutto il partito di maggioranza che, più degli altri, fa della giustizia un cavallo di battaglia: Forza Italia. C’è chi – come Maurizio Gasparri – ironizza sulla coccarda tricolore, dicendo che “sarebbe opportuno metterla rossa così confermeranno la loro natura di avanguardia militante della sinistra politica”. C’è chi, invece, parla dell’astensione del 27 febbraio. Per Tommaso Calderone, capogruppo forzista in commissione Giustizia alla Camera “il primo segnale di dialogo sarebbe certamente la revoca di uno sciopero azzardato di un ordine contro un potere dello Stato”.

Eppure, secondo Santalucia, i segnali di dialogo da parte dell’Anm in questi anni sono arrivati eccome. E le frizioni non sono state opera della magistratura ma, semmai, dell’esecutivo. Sul recente segnale positivo arrivato da Meloni, l’ex leader dell’Anm ci dice che “spetterà ad altri interpretare questi segnali di apertura o chiusura. Quello che posso dire è che fino a ieri Anm non ha perso una occasione per confrontarsi”. Poi affonda il colpo: “Certo, se ci si dice che su alcune non c’è possibilità di tornare indietro perché sta nel programma elettorale, ne prendiamo atto”.

Quando gli chiediamo se per il futuro vede una possibilità di ricomposizione delle diatribe, Santalucia risponde con realismo: “Per un uomo delle istituzioni come me, e come sono tutti i magistrati, l’auspicio non verrà mai meno. L’auspicio, cioè, che si ricompongano le tensioni che non giovano a nessuno, meno che mai alle istituzioni e alla comunità nazionale. Da parte nostra non abbiamo mai dato causa a tensioni, e abbiamo l’orgoglio di rivendicarlo”. Nessuna autocritica insomma, perché le toghe, sostiene, non hanno nulla da rimproverarsi sul fronte dell’interlocuzione con il governo.

Eppure è innegabile che sono mesi che esecutivo e magistratura sono in continua battaglia. Il governo ha prima accusato i giudici di tramare contro il governo per non far attuare il progetto dei migranti in Albania e poi si è scagliato contro la procura di Roma sul caso Almasri. Accusando il procuratore di Roma Francesco Lo Voi – che ha indagato la premier e altri ministri per favoreggiamento nei confronti del generale libico oggetto di un mandato d’arresto internazionale che l’Italia ha liberato e rimpatriato – di aver compiuto un atto arbitrario contro Meloni e i suoi ministri. Di contro, la magistratura ha sostenuto che il governo volesse attaccare la sua indipendenza e metterle alla berlina le toghe che facevano provvedimenti sgraditi alla premier e ai suoi.

Quelli elencati sono solo gli ultimi episodi di un’ennesima stagione complicata: “Se tensioni ci sono state – ribatte Santalucia – questo non vuol dire che non siamo pronti a fare di tutto perché le tensioni si spengano. Ma deve restare chiaro che non le abbiamo mai accese noi”.

Quanto all’Albania, in queste ore viene adombrata la possibilità che il governo possa fare un altro provvedimento – che sarebbe il secondo – per impedire che i giudici impongano che i migranti portati in Albania sulla base del protocollo con Edi Rama debbano essere poi trasportati in Italia. Un provvedimento che, se davvero arriverà, sarà visto come punitivo dalle toghe. Così come punitivo è stato visto il decreto con cui è stata sottratta la competenza della materia alle sezioni immigrazione. A decidere sul trattenimento dei migranti nei centri albanesi sono ora i giudici della Corte d’appello di Roma. Questa modifica non ha fatto sì che l’orientamento dei provvedimenti cambiasse e così il governo vorrebbe riprovarci. Facendo passare, però, l’ennesimo decreto, non come un atto contro la magistratura, ma come un modo per far funzionare il progetto Albania.

Fa riferimento forse a questo potenziale provvedimento Calderone quando dice che i giudici dovrebbero impegnarsi a “non interferire più o tentare di interferire sulla formazione delle leggi”. Siccome le voci su un possibile nuovo provvedimento in materia si fanno sempre più insistenti, chiediamo a Santalucia cosa ne pensa: “Il potere legislativo – chiarisce – esprime al massimo grado la sovranità. E la legge, quindi, può tanto. Ma deve muoversi entro un margine di ragionevolezza. Altrimenti gli interventi irragionevoli, anche se fatti con legge, diventano arbitrari. Massimo rispetto per il Parlamento e per la legge. Ma in democrazia anche la legge deve essere usata con ragionevolezza”. Un nuovo provvedimento volto a far ripartire i campi migranti nel Paese di Rama non lo sarebbe? “Faccio fatica – ci risponde, concludendo – a individuare ragionevolezza nell’ennesimo intervento sui giudici che devono decidere delle cause su questo tema. Sempre che, naturalmente, questo intervento ci sarà”

SCONTRO SULLE CARRIERE SEPARATE

Di Federica Olivo suHuffpost

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