I giovani medici sono in fuga dagli ospedali italiani.
Ecco i numeri aggiornati
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«Non riusciamo più a erogare cure gratuite a tutti nei tempi utili perché siamo pochi, stanchi, disamorati di una professione che inizia come sogno e diventa un incubo strada facendo». La frase di Pierino Di Silverio segretario generale nazionale di Anaao Assomed, principale sigla dei medici ospedalieri, non va contestualizzata in un comunicato sindacale ma nasce da una riflessione sulla realtà da cui si genera la fuga dei giovani medici in Italia. Una realtà che, scopriamo insieme, interessa l’ospedale più fatiscente come il più avanzato. Uno dei leit motif per giustificare gli esodi prematuri è che non solo da “gettonisti” nelle coop, ma soprattutto all’estero: in Francia, Germania, Olanda un medico ad inizio carriera guadagna circa il doppio che in Italia. Ma il movente non è solo economico, non è solo organizzativo, non si deve immaginare “stanco” solo chi lavora in un ospedale piccolo o decrepito.
Tra il 2012 e il 2018, dicono i dati della Ragioneria dello stato, sono andati via 40 mila professionisti dal Servizio sanitario: in gran parte infermieri e medici. Contratti bloccati e degli stipendi fermi, vero; ma un articolo di fine 2022 sul sito dell’Università Cattolica del Sacro Cuore “Il personale sociosanitario un confronto europeo” ricorda che in Italia c’è perenne carenza di camici, e che abbiamo (dati Ocse) 33 addetti alla sanità ogni 1000 abitanti contro 80-90 della Scandinavia e 60 di Francia e Regno Unito. Alcuni sono pagati il giusto, altri sottopagati. Nel 2020 lo stipendio medio lordo annuo di un infermiere italiano è stato 38.379 dollari mentre quello di un medico specialista di 110.348 dollari; nel resto d’Europa gli infermieri prendono 5 mila dollari esatti in più di media e 3 mila in meno prende il medico specialista. Quindi, le retribuzioni dei medici italiani non sono poi inferiori a quelle registrate in altri paesi ricchi. Se negli anni 2010 è stata giustificata una fuga degli infermieri, perché sono andati via i medici? Pierino Di Silverio, Segretario Generale del sindacato dei medici ospedalieri Anaao Assomed, punta il dito contro una pluralità di motivi specifici: retribuzioni al palo (cioè prospettiva di perdita di potere d’acquisto), reparti affollati di pazienti e svuotati di colleghi, difficoltà di crescita professionale (solo il 7% riesce a fare carriera). Ma non solo. «Ai problemi organizzativi si aggiungono problemi sociali, primo tra tutti la perdita di ruolo del medico nella società che favorisce aggressioni e denunce. Inoltre, il tipo di lavoro e di contratto è ormai una gabbia professionale. I medici in Italia non sono più liberi di vivere, è stato sottratto loro il tempo di vita, è stato imposto il tempo di cura che ha sostituito la cura del tempo».
E qui viene il problema che investe tutti gli ospedali italiani, anche quelli “top”, dove la gratificazione di lavorare “bene”, in équipe, ricambiata dal paziente, si scontra con la percezione di agire dentro affollate catene di montaggio. «Il rapporto medico-paziente è ormai un rapporto economicistico di venditore-acquirente e la salute è diventata un prodotto. Il medico oggi in Italia si sente abbandonato, solo, non protetto da quelle istituzioni che dovrebbero valorizzarlo in quanto erogatore di cure. È una questione economica, ma non solo», spiega Di Silverio. «Occorre liberare i medici e i dirigenti sanitari dalle catene della burocrazia che occupa e sostituisce tempo di cura, occorre pagare meglio i medici e i dirigenti sanitari defiscalizzando stipendi sui quali grava la pressione fiscale più alta d’Europa. Ma occorre anche reinvestire nelle carriere e nel miglioramento delle condizioni di lavoro. E depenalizzare l’atto medico che solo in Italia sottopone il professionista a ben tre tribunali. Per far tutto ciò occorre investire in sanità, tornando a considerarla un bene e non un prodotto».
Tratto da Dotor 33
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