Il primo manifesto dei commercialisti
I Commercialisti e gli Esperti contabili ieri 9 maggio 2019 hanno presentao al Paese il loro manifesto
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Parliamo di 118mila professionisti che esercitano in 64mila studi professionali dislocati sul territorio nazionale, nell’ambito dei quali sono occupati 238.000 addetti, che concorrono alla creazione di valore aggiunto nazionale per lo 0,8% del PIL. In base ai dati relativi agli invii telematici dell’Agenzia delle Entrate, su circa 6 milioni di partite iva sono circa 4,5 milioni, pari al 75% del totale, quelle che adempiono ai propri obblighi fiscali per il tramite dei commercialisti. Su 178 miliardi di euro di gettito tributario, 134 miliardi affluiscono alle casse dello Stato per il tramite dell’attività di consulenza e assistenza fiscale prestata dai commercialisti. Oltre il 77% delle cariche di componente del collegio sindacale o di sindaco unico per il controllo della legalità dell’amministrazione nelle società di capitali italiana sono ricoperte da commercialisti. Questi alcuni dei dati contenuti nel manifesto, attraverso il quale il Consiglio nazionale, gran parte degli ordini territoriali e diverse associazioni di categoria denunciano la perdurante e crescente disattenzione della politica e del pubblico dibattito rispetto a temi centrali per la qualità del lavoro intellettuale in generale e per la qualità del lavoro dei commercialisti. Senza avanzare pretese e prerogative che non siano già comprese tra le competenze previste dall’ordinamento professionale. Con il manifesto si vuole fare appello alle istituzioni per una maggiore tutela della professione chiedendo la valorizzazione delle competenze, il riconoscimento del ruolo svolto, il sostegno ai processi di aggregazione professionale e, infine, un reale e sistematico intervento di semplificazione normativa. Uno dei punti qualificanti riguarda le specializzazioni, già esistenti all’interno di diversi ordini, basti pensare a medici, ingegneri, periti industriali. Un fenomeno imposto dalle esigenze del mercato dei servizi professionali. Al commercialista generico di base, sempre richiesto e utile alla stragrande maggioranza numerica dei contribuenti, si devono affiancare le competenze di un professionista specializzato nella materia fallimentare o nell’amministrazione giudiziale o nella revisione dei conti e così via. Non si vuole affatto discriminare tra professionisti di serie A e di serie B. Il commercialista di base molto spesso è molto più apprezzato dello specialista. Sotto questo profilo la laurea e l’esame di stato non sono più il punto di arrivo di un percorso di formazione, ma solo una tappa con la necessità di ulteriori passaggi di ulteriore qualificazione.
Dal punto di vista degli imprenditori, il moltiplicarsi delle specializzazioni, esterne o interne agli ordini professionali, significa avere la possibilità di trovare sul mercato consulenti sempre più preparati per lo specifico servizio richiesto. È il mercato a pretendere le specializzazioni, a prescindere che queste siano o meno regolamentate all’interno del sistema ordinistico, ovvero attraverso ulteriori albi o elenchi speciali. Su questo punto tutte le rappresentanze dei commercialisti, istituzionali, previdenziali e associative dovrebbero riflettere e lavorare per individuare soluzioni condivise.
Ecco il loro manifesto.
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