Infermieri contro la manovra: “Non ci sono soldi per il personale, si allungheranno le liste d’attesa”
Andrea Bottega, segretario del sindacato infermieristico Nursind, spiega a Fanpage.it cosa manca nella legge di bilancio del governo Meloni.
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La legge di bilancio del governo Meloni è arrivata alla Camera e dal settore di chi lavora nella sanità pubblica si sono sollevate perplessità, critiche e proteste. Dopo la proposta dell’Ordine dei medici di usare tutte le risorse stanziate (due miliardi di euro) per il personale, e la protesta dei sindacati dei medici che minacciano di bloccare gli ospedali, anche gli infermieri alzano la voce.
“Nel Pnrr ci sono quasi 20 miliardi di euro per strutture e modelli organizzativi della sanità, ma noi non abbiamo le risorse umane per dare gambe a questo nuovo sistema. Le risorse sono insufficienti”. Andrea Bottega, infermiere e segretario del sindacato Nursind, commenta così a Fanpage.it la legge di bilancio del governo Meloni.
Concordate con i sindacati medici su questo?
Certo, confermiamo quello che hanno detto gli altri sindacati e anche le Regioni, che organizzano i servizi sanitari nel concreto: le risorse non bastano. E i soldi che ci sono vengono vincolati in grandissima parte al caro-bollette.
La stessa questione che denunciano anche i medici.
Esatto: la carenza non è solo in ambito medico, ma soprattutto in ambito infermieristico. Se rapportiamo i dati italiani con quelli degli altri Paesi, non solo europei, siamo ampiamente sotto gli standard. Difficilmente possiamo garantire i servizi così. Anche perché i cittadini lo sanno che ci sono gli investimenti del Pnrr, e probabilmente si aspettano maggiori servizi, più puntuali, riduzione delle liste d’attesa…ma se non c’è il personale, non possiamo soddisfare queste richieste. Anzi, probabilmente dovremo rivedere i servizi che ci sono adesso.
Quanti infermieri e infermiere mancano?
La carenza, stimata da più enti, è di circa 70mila unità nel personale infermieristico in Italia. Di queste, almeno 20mila sono per l’infermiere di famiglia, la nuova figura prevista dal Pnrr e già istituita dal governo Conte. Questi infermieri di famiglia non ci sono ancora. Per carità, abbiamo fino al 2026 per mettere a regime questi impegni presi con l’Europa, quindi si spera che si andrà in questa direzione, ma bisogna iniziare a prevedere risorse aggiuntive che consentano di assumere. E poi c’è un ulteriore aspetto di criticità.
Quale?
Non solo non riusciamo ad avere infermieri nel mercato del lavoro: quelli che sono dentro vogliono uscire.
In che senso?
Si dimettono, cambiano lavoro. Noi veniamo da due anni di pandemia in cui siamo stati spremuti come limoni. Due anni di pandemia equivalgono a vent’anni di lavoro normale: essere sempre a contatto mediato con i luoghi e le persone con cui si lavora, le moltissime attenzioni per non essere contagiati e non portare a casa il virus… è un lavoro difficile, che ormai molti giovani non vogliono più fare a queste condizioni.
Avete dati precisi sul numero di dimissioni?
Non ancora, tra pochi giorni ci riuniremo nel congresso nazionale proprio per analizzare questo fenomeno. Sicuramente rispondiamo a moltissime chiamate sui termini di preavviso, cioè a persone che ci chiedono quanti mesi di preavviso devono dare per licenziarsi, e quando chiediamo il perché la risposta predominante è “per fare altra attività”. Gli infermieri non chiedono cose impossibili, solo una qualità di vita dignitosa e la giusta remunerazione.
Quindi dite che non solo manca personale, ma chi c’è ha stipendi troppo bassi per la mole di lavoro da fare?
Sì, la situazione non è così diversa da quella di chi fa lavori di cura domestica: spesso sono persone che vengono da Paesi esteri, e si prendono cura di moltissimi individui. Ma in questa società, senza la giusta priorità data alle professioni sanitarie, i giovani vogliono intraprendere altre carriere. Se non remuneriamo dignitosamente le professioni d’aiuto, non avremo chi vuole farle. Non li troveremo.
Cosa hanno fatto gli ultimi governi, su questo tema?
L’unico incentivo che abbiamo avuto – stanziato nella legge di bilancio del 2021 dal governo Conte – è arrivato nel contratto collettivo che abbiamo sottoscritto da poco. È un aumento per riconoscere l’impegno e il valore dimostrati durante la pandemia, ma si tratta di 70 euro lordi al mese. Noi abbiamo firmato un contratto che recupera un 5-6% di inflazione, e l’inflazione ora è al 12%. Cosa mette il governo ora per il rinnovo dei contratti quest’anno? Pochissimo, equivarrà a circa una ventina di euro lordi. La nostra professione così non è appetibile economicamente.
Voi come vi state organizzando?
Stiamo tentando di fare l’impossibile, anche per strutturare una carriera con le risorse limitate che ci sono nei contratti, per permettere di crescere a chi fa questa professione, ma senza risorse non si realizzerà nulla. E nella legge di bilancio non ci sono.
Il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha detto che bisogna “incentivare anche economicamente la presenza la presenza in ospedale dei professionisti per più ore”.
Il problema è che noi abbiamo già un’enorme quantità di ore di straordinario che non vengono pagate, perché non ci sono i soldi ma dobbiamo compensare le carenze che ci sono nel sistema. Le sale operatorie lavorano dalla mattina alla sera, ma noi ci troviamo con le difficoltà oggettive di avere il personale che serve.
Quali possono essere gli effetti sul Sistema sanitario nazionale, in mancanza di fondi?
Si allungheranno le liste d’attesa e sempre più gente andrà nella sanità privata. La salute non attende: se sto male, non posso aspettare una settimana per l’intervento. Quando chiamiamo i pazienti che erano stati tenuti in sospeso perché le sale operatorie erano state trasformate in aree Covid di terapia intensiva, molti ci dicono “Guardi, io sono andato nel privato, a pagamento, ho già fatto”. Il servizio sanitario nazionale è universale ed equo, noi ci teniamo, l’abbiamo tenuto in vita con fatica e non vogliamo che venga smantellato.
Anaao-Assomed ha detto a Fanpage.it che molti medici lasciano il pubblico per passare al privato, per cui inizieranno delle proteste che potrebbero arrivare anche a bloccare gli ospedali. Voi come valutate la questione?
Per esperienza posso confermare che i medici che lasciano il pubblico, per la situazione economica insostenibile, ci sono eccome. Come gli infermieri che se ne vanno per fare altro. Per il momento noi non abbiamo ancora organizzato scioperi, vogliamo vedere cosa si riesce a fare per emendare la legge di bilancio.
Quali modifiche sperate possano arrivare?
Basterebbe prendere quell’indennità che il governo Conte ha istituito, con 335 milioni di euro, e aumentarla. Non bisogna attendere chissà cosa, o chissà quanti miliardi di euro. Sarebbe già un segnale.
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