Anno: XXVI - Numero 07    
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L’interprete di lingua dei segni in ambito giudiziario

Uno degli ambiti nel quale la professione di interprete di lingua dei segni si esplica è quello giudiziario

L’interprete di lingua dei segni in ambito giudiziario

Già con il Codice di Procedura Penale emanato nel 1930, ex art. 143 poi divenuto con la riforma del 1989 art. 119, era prevista la presenza di uno o più interpreti nel solo caso in cui la persona sorda” non fosse in grado di leggere e scrivere”.

Grazie ad una sentenza della Corte Costituzionale, la n.341 del 1999, che ha dichiarato illegittima la parte in cui limitava la nomina dell’interprete ai soli casi di analfabetismo, si è sancito il diritto della persona sorda ad avere per tutto il procedimento la presenza di un servizio di interpretariato al fine di garantirne il diritto di partecipazione cosciente.

La definizione del legislatore dell’interprete è quella di “persona abituata a trattare con lui” fino addirittura ad ammettere l’eccezione della presenza di un “prossimo congiunto” all’art.144; in questo senso, a garanzia della fedeltà del contenuto veicolato, dell’imparzialità del professionista e della sicura riuscita dell’azione comunicativa, è auspicabile al più presto un aggiornamento del nostro impianto legislativo, con una definizione professionale dell’interprete di lingua dei segni, così come richiesto a più riprese anche dal Comitato ONU sull’attuazione della Convenzione per i diritti dei disabili, divenuta legge in Italia nel 2009.

La Direttiva 2010/64/UE nell’affermare il diritto all’interpretariato per tutti coloro che non parlano e non comprendono la lingua del procedimento per tutta la durata, dal momento in cui si ha notizia fino all’ultimo grado di giudizio, estende la platea anche alle “persone con problemi di udito o difficoltà di linguaggio”. Aspetto che rileva quanto la figura dell’interprete di lingua dei segni sia aderente alla categoria degli interpreti vocali, dai quali si distingue esclusivamente per la tipicità della lingua di lavoro. Il Decreto legislativo 4 marzo 2014, n. 32, di attuazione alla Direttiva, prevede all’art. 2, comma 1, che“l’albo dei periti è costituito da un comitato presieduto dal presidente del tribunale, con (…) le associazioni rappresentative a livello nazionale  delle professioni non regolamentate a  cui appartiene la categoria di esperti per la quale  si  deve  provvedere”. L’attuazione di questa norma attenuerebbe gli effetti della definizione dell’interprete attualmente prevista, ma ad oggi dobbiamo registrare la non attivazione all’interno dei nostri tribunali di questi comitati per gli interpreti di lingua dei segni.

Questo è un settore nel quale l’interprete di lingua dei segni mette in atto non solo le competenze di interpretazione dalla lingua italiana alla lingua dei segni, e viceversa, con diligenza etica e deontologica, ma a queste concorrono alla riuscita del servizio di interpretariato tutta una serie di competenze e conoscenze che afferiscono alla specificità dei luoghi e della materia.

Questo contesto di lavoro estremamente caratterizzato fa si che l’interprete che vi interviene con il proprio esercizio abbia a che fare con tutta una serie di dinamiche e prassi normalmente avulse dalla pratica dell’interpretariato di trattativa o di conferenza, tali per cui la conoscenza extralinguistica, giuridica e contestuale risultano fondamentali per la riuscita del lavoro.

 

L’interprete, per onore di giustizia, mette in comunicazione due realtà spesso molto distanti tra loro, non solo per la non condivisione della stessa lingua, ma anche per finalità in contrapposizione, per esempio tra accusa e accusato, per conoscenza dei rituali delle procedure, emozionali e talvolta con persone con competenze minime linguistiche sia in quella vocale che in quella segnica (si pensi ai minori o alle persone molto anziane).

Sono queste le situazioni nelle quali l’interprete professionista mette in atto tutte le sue competenze al fine di garantire sulla comprensione degli attori presenti, sia sordi che coloro che sentono, rispetto a quanto sta accadendo.

L’interprete è chiamato a misurarsi con la lingua speciale giuridica, fortemente caratterizzata da tecnicismi linguistici e formule attribuibili alla normale prassi processuale e con spesso in contemporanea con altri linguaggi specialistici inerenti il contesto in cui si svolge il procedimento.

Le stesse dinamiche situazionali influiscono significativamente sull’esercizio della professione: svolgere un servizio di interpretariato durante un processo,in aula, nelle varie udienze, o piuttosto presso un istituto di pena, o nel corso di una perizia tecnico-scientifica affiancata da altro CTU, comporta per il professionista dover padroneggiare il passaggio interpretativo con diversi interlocutori affinché si realizzi compiutamente la comprensione dell’atto comunicativo.

A tutto questo investimento di competenze e abilità non corrisponde una retribuzione dignitosa e proporzionata. Gli interpreti rientrano in quella categoria di esperti di cui il sistema giudiziario si avvale (insieme a periti e consulenti) e i cui compensi sono bassissimi. Il sistema di calcolo delle prestazioni è basato sulla vacazione ed il compenso oltre ad essere esiguo ed inadeguato molto spesso viene riconosciuto dopo diversi mesi, in alcuni casi anche anni. Decisamente un paradosso se si considera il servizio di interpretariato come essenziale.

Note

[1] Ad una vacazione corrispondono due ore di servizio pagate 14,68 euro per la prima e 8,15 euro dalla seconda in poi, per un massimo di quattro vacazioni al giorno.

[1] L’assenza dell’interprete è stato motivo di nullità del procedimento, inoltre in tempo di COVID-19 la Traduzione e l’Interpretariato sono state definite prestazioni essenziali da vari governi, anche dal Governo Italiano.

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