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Mancano i medici, le regioni dicono basta al numero chiuso a Medicina

La ministra Messa: "Limite necessario ma da ora novità"

Mancano i medici, le regioni dicono basta al numero chiuso a Medicina

Basta numero chiuso alle facoltà di Medicina, «se non si trovano medici significa che il sistema formativo non funziona e mortifica centinaia di giovani che non riescono ad accedere». A tornare sul tema, da sempre dibattuto, è oggi l’assessore regionale alla sanità del Lazio Alessio D’Amato ma da tempo molti governatori – Toti, Musumeci, Zaia, l’assessore alla Sanità Luca Coletto in Umbria per citarne solo alcuni – chiedono con insistenza l’abolizione del numero chiuso.

Per il presidente della Crui, Ferruccio Resta, «non è un problema di numero chiuso ma serve il coraggio della pianificazione e delle priorità su cui investire».

 «Il modello va ripensato – dice d’Amato all’ANSA – è ora di abolire il numero chiuso alla facoltà di Medicina. E’ necessario rivedere le modalità di accesso alla facoltà alzando l’asticella al secondo anno per gli studenti meritevoli, così come accade in altri Paesi europei».

Per l’assessore «Il governo in carica ha fatto uno sforzo importante per l’aumento delle borse di specializzazione ma ora occorre uno scatto in avanti, per non limitare le chances di migliaia di giovani che ogni anno tentano di entrare a Medicina. Cosa ci facciamo degli alti standard di frequenza di cui disponiamo se poi i medici non si trovano e quelli che ci sono vengono pagati meno del resto d’Europa? Il tema è avere un sistema formativo europeo omogeneo; non capisco perchè quello che si fa in Francia non può essere fatto in Italia. Così finiamo per mortificare l’aspirazione di migliaia di giovani che finiscono per andare a studiare all’estero e al tempo stesso non abbiamo il numero necessario di dottori: ci perdiamo tutti».

Nei giorni scorsi anche il senatore Udc Antonio De Poli ha sostenuto che è «indispensabile rivedere il sistema della formazione cancellando il numero chiuso delle facoltà di Medicina. Solo così eliminando il collo di bottiglia riusciremo a sciogliere il nodo della formazione e a farlo con una programmazione seria che risponda alle necessità dei territori».

 «Dall’anno accademico 2022-2023 ci sarà già un grande cambiamento per accedere alla facoltà di medicina: non più una sola data, ma un percorso che consenta ai ragazzi dalla IV superiore di prepararsi, autovalutarsi e poter tentare più volte nel corso dell’anno il test”: lo dice all’ANSA il ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa. «Il numero chiuso è necessario, per mantenere alta la qualità, sia nel caso di una selezione all’ingresso sia nel caso di «sbarramento» al secondo anno di università, come accade in Francia», aggiunge.

«In un sistema come il nostro, con l’accesso programmato e un percorso di accompagnamento, si dà la possibilità a studentesse e studenti di mettersi alla prova, di tentare più volte il test, si contengono i costi, si garantisce un’uniformità a livello nazionale e un adeguato rapporto tra numero di docenti e ragazzi, oltre che di spazi, aule e laboratori”; spiega la ministra Messa. Nei casi di ‘sbarramento” al secondo anno – come proposto da alcune Regioni – «c’è il vantaggio della libera iscrizione iniziale, ma si hanno costi più elevati per le famiglie, una minore uniformità nella formazione che si riceve e una elevata differenza nella selezione, con circa il 70% degli studenti che dopo il primo anno, non potendo accedere al secondo, si trovano a dover scegliere altri percorsi non senza difficoltà», fa notare Messa.

«Ciò su cui abbiamo lavorato in Italia e su cui si può continuare a migliorare è il percorso, l’orientamento che porta ad accedere all’università, oltre che la definizione del fabbisogno. Se parliamo di mancanza di medici, però – specifica il ministro – ciò che stiamo pagando oggi è stata una programmazione del passato di soli 9.000 ammessi all’anno a Medicina a fronte di quasi 16.000 complessivi previsti attualmente e di circa 5.000 borse all’anno per le Scuole di specializzazione. Oggi per gli specializzandi ci sono oltre 13.000 posti, una programmazione che con il ministro Speranza abbiamo stabilizzato anche per il futuro e che segue il picco di 17.000 dello scorso anno con il quale abbiamo quasi annullato l’imbuto formativo che si era creato», conclude la titolare del dicastero dell’Università.

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