Medici emigranti, Italia al quinto posto in Ue
L'Italia non è il paese che esporta più laureati, né più medici, né più professionisti sanitari
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Nicola D’Autilia, vicepresidente del Consiglio degli Ordini dei Medici Europei (CEOM) e Referente esteri Fnomceo, commenta i dati del Rapporto di Confprofessioni 2018 sui liberi professionisti, oggi circa 1,4 milioni nel nostro paese, poco più di un milione quelli in ambito sanitario o scientifico. L’analisi dell’associazione che annovera tra gli iscritti Fimmg Andi e Fimp, situata nelle prime pagine del Rapporto, è interessante: considera un arco di 20 anni e i flussi da tutti i paesi europei, e scopre che sono sanitari 7 professionisti emigranti su 10. Tra il 1997 e il 2017 sono andati via da uno stato membro Ue per trasferirsi in un altro stato 160 mila infermieri (8 mila gli italiani), 132 mila medici, (11600 i nostri); 35 mila fisioterapisti, 13 mila farmacisti un decimo dei quali italiani, 24 mila dentisti (1470 nostri) e 12 mila veterinari (1000 italiani). Sono emigrati 39 mila professionisti italiani, meno di un italiano su mille, contro 80 mila tedeschi (rapporto 1 a mille abitanti), 39 mila svedesi (5 su mille abitanti), 65 mila polacchi, 56 mila spagnoli. Noi siamo solo al quinto posto!
Un quarto dei professionisti europei va nel Regno Unito, il 14% in Norvegia, il 10% in Svizzera, ma se si parla di sanitari ben il 41% si trasferisce in Gran Bretagna puntando il National Health Service, e un 21% in Svizzera. Degli italiani, tra i medici il 38% si è trasferito in questi 20 anni Oltremanica e il 32% in Svizzera, il 7% in Belgio, in tutti e tre i casi la propensione è maggiore della media Ue. Ultima annotazione, rispetto al resto d’Europa l’Italia con 5,3 milioni tra lavoratori autonomi, commercianti inclusi, e imprenditori, ha un numero più alto di liberi professionisti -il cui contributo dà in genere slancio al prodotto interno lordo dei paesi – anche se negli ex stati dell’Est Europa il tasso di crescita di questa categoria è stato molto superiore. La vera sorpresa è che i medici laureati in Svezia e Germania se ne vanno a frotte, «in genere per tornare ai paesi di provenienza, molti non sono cittadini svedesi o tedeschi o sono originari di altre aree. Peraltro – sottolinea D’Autilia- l’emigrazione non è fatto necessariamente negativo. Certo, è negativo che i nostri colleghi vadano via perché sottopagati. Di norma, tentano all’estero e trovano lavoro, e riescono a costruirsi una carriera prendendo spesso molto di più di quanto gli darebbe l’Italia. Questo avviene grazie alla direttiva Ue in favore della libera circolazione dei professionisti per la quale ci siamo battuti; l’interesse iniziale della comunità era consentire il libero stabilimento dei lavoratori nei paesi membri, sui professionisti anche la nostra Federazione degli ordini era ed è a favore della libera circolazione, un fenomeno che arricchisce tutti. Un secondo fattore da sottolineare è che il trend dell’emigrazione è in crescita pure in altri paesi Ue, in Francia si assiste a un'”invasione” di camici romeni. Emigrare offre sia possibilità di lavoro, sia chance di miglioramento economico; la Svizzera calamita moltissimi laureati altoatesini ed austriaci, i primi non hanno certo scarse possibilità economiche e di carriera rispetto agli altri italiani, ma evidentemente “al meglio non c’è fine”». E nemmeno alla globalizzazione, tanto che i paesi europei hanno deciso di costruirsi un database dei sanitari mettendo in rete ordini e ministeri e istituendo una tessera sanitaria di riconoscimento del professionista che viaggia. Questo già da alcuni anni, e infermieri e farmacisti sono della partita. I medici ci hanno pensato persino prima. «La tessera del professionista sanitario Ue -dice D’Autilia- ha avuto qualche anno fa un momento di gloria, sostenuta in particolare da Francia e Germania, inizialmente doveva essere cartacea come la nostra tessera sanitaria, invece si sono progressivamente rese prioritarie la circolazione dei dati e la loro facilità di consultazione online, ma a questo punto diventa un passaggio cruciale definire le regole per il trattamento dei dati e siamo in stand-by».
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