Numero chiuso a medicina, è scontro su come far fronte alla carenza dei medici.
Le posizioni a confronto
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C’è chi parla di ingresso libero al primo anno della Facoltà di Medicina, come il leader della lega Matteo Salvini; chi di programmazione, come il presidente Fnomceo Filippo Anelli; e chi chiede investimenti, come l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco.
Il numero chiuso alla facoltà di Medicina e Chirurgia è diventato uno dei temi centrali dei programmi, in vista delle elezioni del 25 settembre. Secondo il presidente della Federazione nazionale degli Ordine dei medici (Fnomceo) Filippo Anelli, con l’aumento delle borse di specializzazione, «siamo riusciti a risolvere il problema dell’imbuto formativo: negli ultimi 3 anni sono state finanziate 30mila borse. Inoltre, il Governo ha deciso di mettere a disposizione 12mila borse all’anno. Questo vuol dire che in 5 anni avremo: 30mila specializzati più altri 60mila che staranno per specializzarsi». In sintesi: tra 6-8 anni avremo «la disponibilità di ben 90mila specialisti. È un numero importante, che induce una forte preoccupazione che ci sia una nuova pletora. Quindi, rischiamo di passare della carenza all’eccesso», sostiene Anelli, che insiste sull’importanza «di essere prudenti in questo settore» e sulla necessità di «impegnarsi a fondo sulla programmazione».
Al contrario, il leder della Lega Matteo Salvini ha fatto dell’accesso libero alla facoltà di medicina, il suo principale slogan elettorale. «Ingresso libero al primo anno, la selezione, come avviene in Francia, va fatta sui voti e non sulle crocette e quiz della fortuna». Linea simile è quella adottata dall’Assessore alla Sanità della Regione Lazio, Alessio D’Amato, «il 6 settembre iniziano i test di medicina, rimarranno fuori 50 mila giovani. Ci saranno migliaia di giovani, soprattutto del sud, accompagnati dalle famiglie che subiranno ancora una volta la giostra dei test. È un sistema assurdo. Mancano i medici e impediamo ai giovani di iscriversi. Serve un unico modello formativo europeo altrimenti i nostri giovani saranno costretti a studiare all’estero. Non è possibile che la Francia non ha il numero chiuso e noi si. L’Italia deve svegliarsi», dichiara D’Amato. A condividere la stessa posizione anche il Presidente della Regione Veneto Luca Zaia: «Lo dico da anni, esattamente dal novembre 2013: il numero chiuso a medicina non è certo il metodo migliore per investire sulla professione dei nuovi medici. Tutti i ragazzi che vogliono iscriversi hanno il diritto di conoscere la Facoltà di Medicina e di frequentarla. E la selezione va fatta durante lo studio, come accadeva in passato». «Il vero valore di un giovane – aggiunge – lo si deve vedere sul campo. Molti dei nostri grandi clinici di oggi – sostiene il Presidente della Regione – non sono certo partiti da un quiz, ma dando prova delle loro capacità sul campo, prima accademico, e poi sanitario».
Controcorrente, invece, l’epidemiologo Pier Luigi Lopalco, candidato del centrosinistra al Senato nel collegio uninominale Puglia 05, in quota Articolo Uno, che non considera lo stop al numero chiuso la soluzione per far fronte alla carenza di medici. «Forse bisognerebbe avere il coraggio di dire la verità – ha spiegato – ovvero che in Italia il numero di laureati in medicina è in linea con il resto dell’Europa e che se la Francia, che tanto viene presa a modello, ha messo in atto una politica di apertura del numero chiuso è perché partiva da livelli di laureati molto bassi. Situazione ben diversa rispetto a quella dell’Italia dove, basta guardare le statistiche per capirlo, a mancare non sono tanto i medici bensì gli specialisti di alcune specifiche branche e soprattutto infermieri. E se negli ospedali viviamo questa continua carenza di medici è perché le condizioni lavorative in alcuni ambiti sono pessime e molti non se la sentono di specializzarsi in branche poco attrattive e con condizioni lavorative peggiori». Secondo Lopalco, «solo chi non conosce la sanità – ha ribadito – può pensare che basti abolire il numero chiuso per risolvere il problema. Quello che serve sono investimenti, misure strutturali e programmazione». Anche Guido Quici, Vicepresidente Cida e Presidente della Federazione Cimo-Fesmed, concorda sul fatto che il problema della carenza di personale sanitario «non è causato dal numero chiuso, ma dal numero insufficiente di contratti per le scuole di specializzazione in medicina e delle borse di studio per i corsi di formazione in medicina generale. Un problema affrontato dal Ministro Speranza negli ultimi due anni con l’aumento significativo delle borse, che consentirà progressivamente di risolvere la carenza di medici. L’abolizione della selezione all’ingresso delle Facoltà di Medicina e Chirurgia è quindi una proposta miope». Ecco perché per Quici «il prossimo Governo dovrà assicurare un numero di posti adeguato al reale fabbisogno, abolire il tetto di spesa sul personale che impedisce le assunzioni e migliorare le condizioni di lavoro per bloccare la fuga dei medici dal Servizio sanitario nazionale».
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