O la professione forense cambia o si ripiega su se stessa.
Anf. Preoccupante il numero di avvocati che vogliono abbandonare la toga.
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“La fotografia dell’Avvocatura restituita dal rapporto Censis 2021 mette nero su bianco che o si mettono in campo le condizioni per cambiare la professione, o la professione rischia di ripiegarsi su stessa, perdendo il ruolo che le compete nella società.
Ancora troppo elevato il gender gap salariale e preoccupante la volontà di oltre il 30% degli avvocati di abbandonare la toga per motivi economici: facce diverse della stessa medaglia, ovvero di un’avvocatura ancora troppo poco aperta ai cambiamenti di un mondo che sta mutando rapidamente”.
Così il segretario generale dell’Associazione Nazionale Forense Giampaolo Di Marco.
“La distanza fra il reddito medio di una donna avvocato e quella di un collega uomo – continua Di Marco – è tale che occorre sommare il reddito di due donne per sfiorare (e non raggiungere) il livello medio percepito da un uomo: 23.576 euro contro i quasi 51.000. E’ evidente che questo gap è del tutto anacronistico, anche perché maggiore del differenziale di retributivo a livello generale nel nostro Paese. Non possiamo poi nascondere la portata del dato in ottica prospettica : le donne sono maggioranza attualmente, e lo sono ancora più nettamente nelle fasce più giovani della professione, per cui si pone per il futuro una criticità a livello di sostenibilità previdenziale. Motivo per il quale abbiamo richiesto un incontro a Cassa Forense per discutere della futura riforma”.
“La dinamica del reddito medio, osservato a partire dal 2005, riporta una tendenza declinante, dovuta all’allargamento della base degli avvocati iscritti e alla progressiva estensione della componente femminile. Ma non è solo una questione di grandi numeri: manca – aggiunge il segretario ANF – una attenzione concreta del legislatore nei confronti della professione di avvocato, perché ancora non si rendono effettivamente convenienti le aggregazioni, lasciando irrisolte le asimmetrie sul piano fiscale che le disincentivano. Ulteriore segnale, da ultimo, il fatto che praticanti avvocati, abilitati e non, assunti all’interno dell’ufficio del processo non possano svolgere attività nello studio legale di appartenenza”.
“Anche la politica forense non è esente da colpe: da anni dibatte senza approdi concreti sul tema degli avvocati collaboratori di studi legali che è una delle più esposte e che paga le maggiori conseguenze, anche in termini reddituali, delle ripercussioni che le varie crisi che si sono susseguite in questi anni” – conclude Di Marco.
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