Anno: XXV - Numero 237    
Venerdì 27 Dicembre 2024 ore 13:30
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Professioni in crisi, mancano i giovani commercialisti.

L'Unione dei giovani commercialisti traccia un calo dei tirocinanti, nonostante la mole di lavoro sia elevata

Professioni in crisi, mancano i giovani commercialisti.

Questo è quanto emerge dai giovani commercialisti che dichiarano un calo dei tirocinanti e una mancanza di attrattiva della professione. Infatti l’80% degli Studi oggi si limita a fare contabilità ed adempimenti.

Se i numeri già parlano chiaro, meno 1.345 tirocinanti al 1° gennaio 2020, l’allarme rosso per una professione tra le più ambite a cavallo fra anni ’80 e ‘90 arriva dagli stessi addetti ai lavori.

«Inutile nasconderlo, siamo in piena crisi di vocazioni – parole di Matteo De Lise, presidente dei Giovani commercialisti – e non dovremmo nemmeno sorprenderci: la professione non è più attrattiva». Motivi e cause complesse, si potrebbe tagliare corto, ma alla fine riducibili a un paradigma basico: «La formazione del professionista tra università, tirocinio, esame di Stato è un investimento importante  – spiega De Lise – ma poi un giovane sa che per aprire uno studio deve considerare, minimo, spese fisse per 50mila euro l’anno, consapevole peraltro che i margini per i tradizionali servizi di contabilità aziendale sono sempre più risicati e il lavoro sempre più esecutivo e “delegato” da Stato e agenzia delle Entrate.

Il professionista deve quindi cambiare forma mentis, diventando consulente preparato e capace di creare valore aggiunto per i propri clienti anche attraverso nuove soluzioni fino ad oggi inesplorate.

Il capitolo che per decenni ha attratto i giovani, la possibilità di un reddito elevato,  è stagnante da prima ancora della grande crisi dei subprime e dei risiko bancari dei decenni scorsi. A testimoniarlo sono gli stessi report della Fondazione dei commercialisti: la media Irpef (quindi lato imposte sul reddito) dice che se nel 2008 l’imponibile medio si assestava a 59.847 euro nominali, 11 anni dopo il valore corrispondente non arrivava a 61 mila euro. Con due caveat importanti, però: il primo è che deflazionati e attualizzati i valori, non c’è stato alcun progresso reddituale ma piuttosto un calo di 7.150 euro l’anno, pari a una perdita di reddito reale del 10,8 per cento; seconda considerazione, questi dati sono ancora pre-crisi Covid, i cui effetti a questi fini saranno visibili solo a partire dal 2022.

La soluzione? Ripensare la professione

La verità sta sempre nel mezzo, come detto sopra, il ruolo del professionista è cambiato profondamente negli ultimi anni. Gli Studi devono puntare a diventare società di servizi che includono professionisti con capacità differenti, specializzati per la crescita e lo sviluppo delle aziende clienti.

La soluzione esiste e risiede nella formazione. Un professionista non smette mai di studiare, le normative cambiano e per questo bisogna mantenersi aggiornati. La formazione va però riconsiderata e ampliata includendo lo studio di nuove materie così da aumentare le skills professionali e personali, offrendo così servizi innovativi e differenzianti ai propri clienti.

 

 

 

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