Pronti a lasciare il posto fisso per lavorare come medici a gettone.
Sarebbero quattro su dieci i medici pronti a lasciare il posto fisso in ospedale per lavorare come gettonisti.
Il risultato emerge da un sondaggio proposto dalla Federazione Cimo Fesmed a 1000 medici: di questi, il 37,6% dichiara di essere pronto a dimettersi da dipendente del Servizio sanitario nazionale per lavorare con una coop. Tra i più giovani è disposto a lavorare così il 50% degli under 35 ed il 45% dei 36-45 enni mentre “solo” il 28% degli over 55 si cimenterebbe. Sono più desiderosi di fuggire i medici che lavorano nell’area servizi, pari al 46% di coloro che vorrebbero lavorare come gettonisti, seguiti da chi lavora in emergenza (42%), dai chirurghi (40%) e, infine, dall’area medica (32%).
«I medici dipendenti del Servizio sanitario nazionale iniziano a vedere nelle coop l’unica salvezza per uscire da un sistema e da un’organizzazione del lavoro insopportabili – commenta Guido Quici, Presidente della Federazione Cimo Fesmed che riunisce pure le sigle Anpo-Ascoti e Cimop – ma se queste percentuali dovessero trasformarsi in dimissioni reali, ci troveremmo al tramonto definitivo del SSN, che verrebbe svuotato di professionalità e affidato in buona parte a società private che nessuno regola né controlla». Il 52,4% dei medici rispondenti cambierebbe lavoro per gestire meglio il proprio tempo, e migliorare la qualità di vita. Per contro il Ssn non ha garanzie sul percorso formativo, spesso gli si propongono neolaureati e magari li utilizza per coprire turni senza rispettare le norme europee sull’orario di lavoro ed il riposo obbligatorio, con rischi per la sicurezza delle cure. Dall’altra parte questi medici guadagnano anche il triplo di un dirigente del medesimo turno di servizio, pur con meno “grane”.
Sul punto prende posizione l’Anac, autorità anticorruzione, scrivendo ai Ministeri di Salute ed Economia e chiedendo un decreto per fissare tariffe congrue. Per il Presidente dell’Authority Giuseppe Busia, «la questione dei ‘medici a gettone’ tocca servizi fondamentali, improcrastinabili ed indispensabili per l’intera comunità». Busìa descrive come le Asl per coprire vuoti in reparto aggiudichino appalti con procedura negoziata cui partecipa un numero ridotto di operatori economici. E, pur prevedendosi come criterio di scelta il prezzo più basso, corrispondano compensi molto elevati per ciascun turno. All’Anac sono giunte parecchie richieste di parere sulla congruità dei prezzi ed ora vorrebbe supportare Asl ed ospedali con indicazioni, non scritte fin qui da nessuna parte, su come assumere medici “a ore”, con quali limiti, entro quali prezzi, con che durata giornaliera. «Da una prima analisi degli affidamenti – dice Busia – l’elevato costo dei servizi e la non sempre adeguata qualità degli stessi apparirebbero riconducibili anche ad una generalizzata carenza di idonea programmazione, con il rischio di un artificioso frazionamento degli stessi e la conseguente elusione dell’obbligo di evidenza pubblica. Emergerebbero, inoltre, una stima non trasparente della base d’asta, con il rischio di sostenere costi elevati per la prestazione ricevuta ed una non corretta individuazione dei fabbisogni, che può portare a selezionare personale non adeguatamente qualificato”.
Per Pina Onotri, Segretario Generale Sindacato SMI le richieste di Busìa confermano di fatto l’istituzionalizzazione della somministrazione di “mano d’opera” in ambito sanitario. Con le risorse usate per le esternalizzazioni si poteva allineare gli stipendi dei medici italiani a quelli del resto d’Europa ed evitare la grande fuga dal SSN. Sarebbe poi interessante sapere dal Ministro della Salute quanto si è risparmiato con il blocco delle assunzioni a tempo indeterminato e quanto invece è stato speso in acquisto di beni e servizi, alla luce del rapporto Agenas di ottobre 2022 che vede una grave carenza nel Paese di medici di medicina generale, inferiori rispetto alle medie UE e non omogeneamente distribuiti sul territorio».
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