L’Italia ha un piano per fermare Trump
Mentre cresce la tensione sui dazi, Meloni si muove tra Bruxelles e Trump per evitare un’escalation commerciale e proteggere le imprese italiane dal rischio di una guerra economica con gli Usa
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Si scalda il motore diplomatico attorno alla visita di Giorgia Meloni negli Stati Uniti, in agenda per il 16 aprile. Nelle stanze di Palazzo Chigi, la presidente del Consiglio ha messo in moto una cabina di regia per affrontare il dossier dazi, che agita da mesi le relazioni tra Bruxelles e Washington.
Nelle ultime ore si fa strada una possibile apertura verso una riduzione simmetrica delle tariffe, con l’ipotesi di fissare un tetto comune al 10% per evitare una spirale di sanzioni e contro-sanzioni. La proposta mira a ridurre le tariffe doganali in vigore volute da Trump, che ha optato per i dazi universali al 20%.
Trump al centro della strategia diplomatica di Meloni
Non si parla ancora di intese definitive, ma i segnali, riportano i maggiori media, sono incoraggianti. Dopo un primo scambio tra il responsabile del Commercio europeo e il rappresentante statunitense Howard Lutnick, definito “abbastanza positivo”, l’esecutivo italiano si prepara a giocare una partita di sponda.
A Palazzo Chigi si punta su un elemento chiave: il rapporto privilegiato che Meloni ha costruito con Donald Trump. Un canale che potrebbe rivelarsi strategico, nel tentativo di evitare un’escalation di ritorsioni economiche tra le due sponde dell’Atlantico.
I passi del governo italiano per affrontare la crisi dei dazi
Oggi si tiene una riunione operativa della task force istituita dal Governo per monitorare le ripercussioni delle misure commerciali. All’ordine del giorno ci sono:
Tra le ipotesi del piano anti-dazi italiano, anche la sospensione di alcune norme europee in materia ambientale, considerate dalla premier come veri e propri ostacoli alla competitività industriale. Si mira in particolare allo stop al Green Deal dell’automotive.
Al termine dell’incontro tecnico, è previsto un confronto ristretto con il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini e con il ministro degli Esteri Antonio Tajani. Si discuteranno le possibili ricadute politiche dell’iniziativa e le contromosse da adottare a livello europeo.
Tajani, da parte sua, ha già escluso la possibilità di accordi bilaterali fuori dal perimetro dell’Unione:
Tra i Paesi membri, la linea condivisa è tutt’altro che definita. I ministri del Commercio si riuniscono il 7 aprile in Lussemburgo, ma le posizioni restano distanti. L’Italia spinge per una mediazione che scongiuri lo scontro frontale e, al tempo stesso, sostiene la necessità di rivedere alcune regole interne che penalizzano le imprese.
Nel frattempo, la premier si prepara a un colloquio con Ursula von der Leyen prima della partenza per Washington. Un secondo incontro potrebbe avvenire al rientro, con l’obiettivo di allineare la posizione italiana a quella della Commissione, senza rinunciare a un’iniziativa autonoma che possa aprire spiragli diplomatici utili.
Meloni si trova al centro di una pressione crescente da parte dei principali partner europei, che spingono per l’attivazione dello strumento anti-coercitivo dell’Unione, un meccanismo pensato per reagire a misure unilaterali considerate ostili. Parigi e Berlino, scrive il Financial Times, guidano il fronte che vorrebbe colpire il settore dei servizi americani, in particolare la tecnologia, come risposta alle nuove misure tariffarie imposte dagli Stati Uniti.
Ma Roma non è convinta. Il governo italiano si è detto contrario a una logica di ritorsione automatica, suggerendo che la risposta debba essere calibrata e non affrettata. Lo ha dichiarato la stessa Giorgia Meloni alla Rai: Non sono convinta che rispondere ai dazi con altri dazi sia la scelta migliore.
La partita ora si gioca anche sul piano politico. L’Italia, per dimensioni e peso specifico, potrebbe risultare decisiva per bloccare una decisione europea in tal senso. Al momento, il fronte contrario allo strumento include anche Romania, Grecia e Ungheria. Il rischio, secondo i diplomatici europei, è che l’Italia debba presto schierarsi apertamente.
L’opposizione di Meloni non è soltanto ideologica: riflette anche le preoccupazioni degli industriali italiani, che temono ripercussioni su uno dei principali mercati di sbocco per il Made in Italy. Le aziende guardano con apprensione all’evolversi della situazione e auspicano una gestione cauta e negoziale.
Il clima resta teso anche tra i banchi della politica interna. Martedì la Camera discuterà una mozione presentata dal Movimento 5 Stelle per bloccare il piano europeo sul riarmo. La maggioranza lavora a un testo alternativo condiviso, punta a smussare le divergenze interne, soprattutto con la Lega, tradizionalmente più restia a un coinvolgimento militare su larga scala. Il confronto si annuncia delicato e strettamente connesso alle trattative economiche in corso.
Meloni ha spinto l’Europa a usare lo shock dei dazi americani come leva per scardinare la zavorra normativa che affossa il mercato interno. L’idea non è quella di fare a pugni con Washington, ma di tagliare le catene che Bruxelles si è legata da sola:
Invece di inseguire ritorsioni, la premier propone di spostare il focus su un cambio di rotta strutturale, meno titubante e più funzionale alla crescita.
di Francesca Secci su Qui Finanza
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