Anno: XXVI - Numero 01    
Mercoledì 2 Gennaio 2025 ore 14:15
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Né Pronto né Soccorso.

Le feste mettono il dito nella piaga della sanità italiana.

Né Pronto né Soccorso.

Influenza stagionale, cronica carenza di personale, ferie dei camici bianchi e turisti: è la tempesta perfetta che mette a dura prova i pronto soccorso italiani tra Natale, Capodanno e oltre. Le attese si allungano a dismisura, anche per pazienti con condizioni gravi che necessiterebbero di ricovero, mentre molti codici bianchi, esasperati dai tempi d’attesa, abbandonano il pronto soccorso prima di essere visitati. La situazione, già critica in molti periodi dell’anno, si aggrava in questo frangente, rivelando le fragilità di un sistema che avrebbe bisogno di interventi strutturali e urgenti che neanche l’ultima legge di bilancio è riuscita a mettere in cantiere. “Il periodo natalizio è storicamente uno dei più complicati per il nostro lavoro, e quest’anno non fa eccezione”, spiega a Huffpost Alessandro Riccardi, presidente di SIMEU (Società Italiana di Medicina d’Emergenza-Urgenza).

Da Nord a Sud, le segnalazioni si moltiplicano. “Durante le festività – sottolinea Riccardi – molte strutture territoriali, come gli studi dei medici di base e i servizi di continuità assistenziale, riducono le attività. Questo spinge molte persone a rivolgersi ai pronto soccorso anche per problemi non urgenti. Allo stesso tempo, le patologie tipiche della stagione invernale, come infezioni respiratorie, influenze e complicanze legate a malattie croniche, aumentano sensibilmente il numero degli accessi, creando sovraffollamento. Poi c’è il caso delle località turistiche che vedono un ulteriore afflusso a causa dei visitatori presenti in questo periodo”.

Il dramma del “boarding”

Una delle principali cause del caos è il cosiddetto “boarding”, ovvero la permanenza prolungata dei pazienti in pronto soccorso, spesso in barella, in attesa di un posto letto in reparto. Questo fenomeno, spiega Riccardi, “rallenta l’intero sistema, riducendo la capacità di accogliere nuovi pazienti e fornire cure tempestive”. Nonostante il Ministero della Salute abbia fissato un limite massimo di otto ore per trasferire i pazienti già destinati a un reparto, tale termine viene frequentemente superato. Un’indagine condotta da SIMEU su quattro milioni di accessi ha rivelato che quasi la metà dei pazienti attende ben oltre il limite prefissato.

Le conseguenze del “boarding” possono essere tragiche. La recente morte di un’anziana paziente all’Ospedale Ingrassia di Palermo, dopo otto giorni trascorsi su una barella del pronto soccorso, ha scosso l’opinione pubblica. “È inaccettabile, una violazione della dignità umana”, denuncia Riccardi spiegando che “negli ultimi decenni abbiamo assistito a una progressiva riduzione dei posti letto ospedalieri per ragioni di contenimento dei costi, ma le conseguenze sono devastanti, soprattutto per i pazienti anziani con patologie croniche, una delle categorie più vulnerabili. Queste persone spesso rimangono bloccate in pronto soccorso per giorni, a discapito proprio e degli altri pazienti”.

Carenza di personale e fuga dai pronto soccorso

A complicare ulteriormente la situazione è la cronica carenza di personale. “Le strutture sono frequentemente sotto organico, il che ci costringe a turni massacranti e compromette la qualità del servizio”, spiega Riccardi. Molti medici scelgono di abbandonare i pronto soccorso per trasferirsi in reparti meno stressanti o emigrare all’estero, dove trovano condizioni di lavoro migliori. “Il risultato è un carico di lavoro insostenibile per chi resta, con un alto rischio di burnout. Inoltre, è sempre più difficile reclutare nuove leve: pochi giovani scelgono la specializzazione in emergenza-urgenza, considerata poco attrattiva sia dal punto di vista economico che organizzativo”.

Il ricorso ai medici a gettone. “Fino a 3.000 euro per lavorare a Natale”

Per tamponare le falle del sistema, molte strutture ricorrono ai medici a gettone. Sebbene il decreto legge n. 34 del 2023 abbia imposto limiti stringenti a questa pratica – consentendo contratti occasionali solo in situazioni di urgenza e per un massimo di 12 mesi – il ricorso a tali figure resta diffuso. Il costo per le casse pubbliche è elevatissimo. Un’indagine condotta da Repubblica sul “tariffario di Natale 2024” parla di cifre stellari:

  • In Liguria, a Sanremo, un anestesista può guadagnare 1.500 euro per un turno di 12 ore, mentre a Imperia il compenso per le notti del 24 e 25 dicembre arriva a 3.000 euro;
  • In Veneto, anestesisti impiegati a Bassano del Grappa o Asiago ricevono 1.100 euro per turni di 12 ore;
  • Nel Lazio, ad Ariccia, i pediatri del pronto soccorso percepiscono 1.200 euro a turno.

“Il ricorso ai medici a gettone è una misura emergenziale, non una soluzione strutturale”, avverte Riccardi. “Questi professionisti non garantiscono la continuità necessaria e rappresentano un onere significativo per i bilanci delle aziende sanitarie. Per risolvere il problema alla radice, occorre rendere il lavoro in pronto soccorso più attrattivo, con stipendi adeguati, migliori condizioni contrattuali e un supporto organizzativo più solido”.

L’appello alla politica

Chi lavora nell’emergenza-urgenza invoca maggiore attenzione, anche da parte della politica. “Il nostro lavoro è unico: siamo gli unici operatori del Servizio Sanitario Nazionale che non svolgono attività privata. A questo si aggiunge un carico di lavoro straordinariamente pesante, con turni notturni frequenti e poche opportunità di riposo”, sottolinea Riccardi. “Amiamo quello che facciamo, ma richiede un impegno straordinario, che deve essere adeguatamente riconosciuto e tutelato. Senza interventi concreti, sempre più professionisti sceglieranno percorsi alternativi, più sostenibili dal punto di vista della qualità della vita e della compatibilità con la famiglia”.

Per il presidente SIMEU, il rischio è chiaro: “Meno professionisti disponibili significa un sistema sanitario meno efficiente, e il prezzo di questa situazione lo pagano i cittadini. Garantire migliori condizioni economiche e lavorative non è solo una tutela per noi, ma una necessità per salvaguardare il futuro del servizio sanitario nazionale”.

 

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